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Gorizia, la tragedia di Giulia riletta da Gianluigi Nuzzi: «Bisogna fare rumore»
L'ospite ieri al Kulturni dom ha voluto dedicare ampio spazio all’omicidio di Giulia Cecchettin, «la televisione ne parla perché alla gente interessa».
La neve imbianca le foreste, e quando scende copiosa ricopre sotto al suo manto villaggi e campi. Era una mattina di fine gennaio del 2002, quando il villaggio di Montroz si risvegliò dal suo placido torpore invernale. Piombando sulle prime pagine dei giornali per rimanerci molti anni, con il tragico “delitto di Cogne”. Si è svolto nella serata di ieri - presso il Kulturni dom di Gorizia - l’incontro con il giornalista e presentatore televisivo Gianluigi Nuzzi intitolato “Dalla Franzoni alla Pifferi, le mamme assassine”.
Solo un accenno a queste due donne, mentre l'ospite ha voluto dedicare ampio spazio all’omicidio di Giulia Cecchettin. “Ringrazio l’assessore Oreti, che ci ha consentito di dedicare questa serata al giallo e all’attualità presso il Kulturni dom”, ha commentato il vicepresidente del circolo culturale Eureka di Pordenone, Mario Boranga. Un evento realizzato nell’ambito del progetto “Pordenone pensa 2023”, con il patrocinio della regione e del comune, che ha consentito di accogliere per la prima volta Nuzzi a Gorizia nell’ambito del Go!2025.
“Sono stato molte volte a Lubiana, ma qui a Gorizia è la prima”, ammette. Per poi introdurre subito il caso della ventiduenne tragicamente scomparsa: “Quello che è accaduto l’11 novembre a Vigonovo ha avuto un effetto enorme sulle coscienze collettive. Dobbiamo chiederci per quale motivo questo delitto ha impressionato un intero Paese”. Un omicidio efferato, come purtroppo ne accadono “ogni giorno, con dinamiche e storie particolari”, che tuttavia ha modificato la percezione del femminicidio. “Perché?” si è chiesto Nuzzi.
“Non perché la televisione ne parla. La televisione ne parla perché alla gente interessa”, spiega alludendo agli indici di ascolto. “Il motivo è che questa storia ha peculiarità che hanno contribuito ad aumentare l’interesse dell’opinione pubblica”. In primis il contesto sociale dei due ex-fidanzati, “studenti inseriti in un contesto in cui tutti ci immedesimiamo”. La storia ci colpisce nella misura in cui proviene da un ambito al quale appartiene il nostro stesso tessuto culturale. “Poteva capitare in tutte le famiglie”, suggerisce. L’altro aspetto riguarda il killer, “un ragazzo che non ha alle spalle un crescendo criminale, che potrebbe essere nostro nipote”.
Anche se poi Turetta mostra comportamenti reiterati, inviando messaggi insistenti come un vero stalker, mirando a isolare la vittima con una serie di ricatti emotivi. Infine, il tremendo epilogo. Laddove “il giallo aveva portato con sé la speranza”, poi disintegrata come nella storia di Alfredino aduto in un pozzo nel 1981, per il quale persino Pertini aveva sperato. E ancora, “i parenti di Giulia hanno messo la faccia e hanno iniziato a dialogare. Lo zio, il papà Gino, la sorella Elena, che si è esposta”. Quest’ultima ha avuto la forza di scuotere le coscienze, “metabolizzando il proprio dolore” parimenti al papà, vedovo da un anno.
“Hanno usato i media per invitare tutti a una riflessione”. Loro, vittime collaterali come gli stessi genitori di Filippo, che hanno partecipato alla prima fiaccolata in memoria di Giulia. “Oggi non sono andati a trovare il figlio. ‘Non siamo ancora pronti’, ha detto. Al padre scappa la frase che suona ‘Avrei preferito che si fosse tolto la vita’. È un uomo sconvolto, che non ha notato campanelli di allarme”, chiosa, ripetendo la frase che suole dire il papa: “Chi sono io per giudicare?”. Riflettere aiuta a comprendere, che “non è un essere indulgenti”, sottolinea con fermezza.
“Ma un papà che partecipa alla fiaccolata per la vittima del figlio non l’ho mai visto”, ammette, alludendo al senso di fallimento assoluto che attanaglia il padre dell’assassino. Così, parlare nelle scuole, favorire gli incontri a sostegno della prevenzione, come le manifestazioni di Scarpe Rosse, rappresenta un sostegno per le donne. “Non esistono statistiche che riportino quanti casi sono stati evitati”, ricorda Nuzzi, rimarcando come siano ad ogni modo utili per modificare lo stato delle cose. “Grazie a Gorizia, grazie al più piccolo paesino in provincia di Siracusa”, si porta maggior consapevolezza nell’umanità.
Anche se poi, il rischio maggiore è l’assuefazione agli omicidi: “Alla fine, per sopravvivere abbiamo questa camera di decantazione dove ci indigniamo un po’ meno”. L’auspicio del giornalista è di continuare a “far rumore”. “Il rumore non è un suono, è un fastidio”. Per catturare l’attenzione di ciascuno è necessario scuotere gli animi, aprire uno spiraglio nelle coscienze. “E poi, non mi piace la narrazione che si sta spostando dalla vittima al carnefice. Poverino, ha pianto davanti ai giudici. Però non ha risposto alle domande dei magistrati”, avvalendosi della facoltà di non rispondere, osserva con obiettività.
“Piuttosto che piangere, ammetti di aver agito con la capacità d’intendere e di volere, rinunciando alla perizia psichiatrica”, prosegue ricordando come i sacchi neri, le ricerche condotte su Internet e i trecento euro portino a supporre la premeditazione. “Non ho la mia penna rossa, piccolo totem portafortuna di Quarto grado” sorride, mentre legge comunque le statistiche sugli omicidi. Solo un 15% rappresenta gli “omicidi emotivi”, frutti di gesti d’impeto; mentre un nutrito 85% ricade fra i così detti “omicidi passionali”, caratterizzati da “una preparazione intrinseca”.
Nuzzi ricorda come Turetta avesse con sé un coltello da dodici centimetri, e un altro da ventuno è stato rinvenuto nei pressi del parcheggio poco distante dalla casa di Giulia. “La premeditazione può portare all’ergastolo, in questo Paese dove non si viene puniti; oppure si è fuori dopo poco”. Alla base di una giustizia poco soddisfacente sta “un sistema troppo moderno, che premia il reinserimento sociale, sollecitando i criminali ad affrontare un processo educativo”. Rischiando però di reinserire cittadini dal comportamento reiterativo.
Gran parte di queste violenze nasce da “situazioni compromesse in termini relazionali”, in cui si assiste alla disgregazione del tradizionale nucleo familiare, via via sostituito da Internet. “I figli sono figli di Internet, la famiglia è diventata un insieme di visioni”. Di qui l’importanza di educare i propri figli anche attraverso il “no”. Quella negazione che domani saranno in grado di dominare, che domani sapranno meglio gestire.
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