Gorizia, il teatro secondo Franceschi: «Io, Strehler e quell'amicizia con Macedonio»

Gorizia, il teatro secondo Franceschi: «Io, Strehler e quell'amicizia con Macedonio»

l'intervista

Gorizia, il teatro secondo Franceschi: «Io, Strehler e quell'amicizia con Macedonio»

Di Rossana D'Ambrosio • Pubblicato il 29 Gen 2024
Copertina per Gorizia, il teatro secondo Franceschi: «Io, Strehler e quell'amicizia con Macedonio»

Vittorio Franceschi oltre che un attore è un gigante della drammaturgia, premiato al Verdi: «Non c’è mai uno spettacolo più importante».

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Dal beckettiano “Dialogo col sepolto vivo” all’allucinante “A corpo morto”, a quello che potrebbe essere un racconto di Charles Bukowski che rappresenta “Ordine di arrivo”, Vittorio Franceschi – classe 1936 - oltre che un attore è un gigante della drammaturgia, che ha calcato le scene della storia del teatro italiano. Attraverso i suoi testi prendono spesso vita personaggi surreali sopravvissuti alle macerie della vita e dei sentimenti, per ritrovarsi di fronte a un bilancio necessario al quale non è possibile sottrarsi. Lo abbiamo incontrato nel ridotto del Teatro Verdi - in occasione della sua premiazione per la terza edizione del Premio Macedonio - dove ha risposto ad alcune domande.

Che emozioni risveglia, cosa rappresenta per lei questa premiazione?
Sono molto contento, anche perché ero molto amico di Cesco (Francesco Macedonio, ndr), abbiamo realizzato tanti spettacoli assieme in anni difficili, e ricordarlo con questo premio è un’emozione forte che mi riempie di gioia. Sono estremamente contento di essere qui a Gorizia, per parlare degli spettacoli che abbiamo realizzato io e Cesco, ricordando una buona fetta del teatro italiano del passato, anche se è un passato tuttora vicino.

Qual è lo spettacolo più importante?
Non c’è mai uno spettacolo più importante, quando li realizzi a uno a uno tutte le volte è il più importante. E poi, quello che conta alla fine è l’insieme delle cose che hai fatto, la traccia che lasci – se la lasci – delle cose che hai fatto. Ma non ce n’è uno. Poi, si possono citare quelli che magari hanno avuto migliori critiche, o che hanno fatto più repliche. Se devo citarne proprio uno, è l’”Amleto non si può fare”, un mio testo che vinse il premio Riccione Ater, e che Cesco mise in scena mirabilmente.

Lo dico solo perché so che i giornalisti chiedono sempre “qual è lo spettacolo più bello fatto”. Bisogna sempre specificare che non ce n’è uno, ma è l’insieme, che conta. Perché tutti gli spettacoli sono consequenziali. Ne fai uno, ma quello che fai dopo porta le tracce di quello precedente, e così nasce anche una maggiore conoscenza dell’uno e dell’altro e un modo sempre più profondo di decidere le cose dell’arte.

Ha mai incontrato Strehler?
L’ho conosciuto, una volta abbiamo fatto una lunga chiacchierata, ma parlava sempre lui perché Strehler era un vulcano. Non ci ho mai lavorato, ho fatto un solo spettacolo al Piccolo, il “Marat/Sade” di Peter Weiss, ma la regia era di Raffaele Maiello, che è stato un assistente di Strehler e poi ha continuato facendo regia. Però ho avuto il piacere, nel corso della mia lunga storia teatrale, di portare la mia commedia “Scacco pazzo” nella sede del Piccolo di Milano, in via Rovello, sul palcoscenico innanzi al quale avevo assistito ai più grandi capolavori di Strehler. Poi un giorno è capitato di programmare il mio spettacolo proprio lì, ed è stato davvero emozionante, calcare di nuovo quel palcoscenico, ma con una mia commedia. Quindi era il massimo a cui potessi aspirare, e sono stato davvero molto orgoglioso, quella volta.

Ha mai lavorato con Andrée Ruth Shammah?
La conosco, quest’anno infatti ha ospitato al Franco Parenti il mio ultimo spettacolo, “Il domatore”. Abbiamo un rapporto molto bello, ma non ho mai lavorato con lei come regista. La conosco, ci teniamo in contatto, nei limiti del possibile di due persone che vivono una a Milano e l’altra a Bologna.

Ha mai conosciuto Testori?
L’ho conosciuto proprio agli inizi della mia carriera, quando lui non era ancora famoso. Cominciava a essere conosciuto, ma non era diventato famoso. Una volta abbiamo fatto una lunga passeggiata, parlando un po’ di tutto, poi io dopo un certo periodo sono tornato a Bologna a vivere. Dopo non ci siamo più visti, ho avuto l’occasione di incontrarlo solo una volta, un po’ come Strehler. Era una persona molto gentile e disponibile, mi chiedeva dello spettacolo con cui avevo appena debuttato a Milano. Avevo avuto un discreto successo e lui era venuto a vederlo. Sono passati più di sessant’anni, ormai. Ho solo un ricordo vaghissimo di quella passeggiata in via Verdi, di fianco alla Scala di Milano.

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