la cerimonia
Gorizia saluta commossa Massimo Zitter, «era una persona generosa»
Il saluto commosso di familiari e amici, presenti i ragazzi dell'Azzurra. Don Fulvio: «Vuoto palpabile».
Una cerimonia vera, calda nonostante la gelida bora che soffiava sul sagrato a Gorizia. Una cerimonia compresa fra il lungo serpentone di amici che ha voluto stringersi alla famiglia e l’applauso che ha accompagnato la partenza del feretro per la cremazione, dalla chiesa di Campagnuzza. Il saluto a Massimo Zitter è stato affettuoso, sincero, partecipato, come per rispecchiare quei valori di lealtà e servizio del prossimo che hanno guidato la sua vita.
Eppure, nonostante il desiderio di restituire quella generosità che ha sempre donato, è l’incredulità il sentimento dominante fra le centinaia di persone che, da prima delle undici e fino alle tredici e trenta, hanno affollato la chiesa del rione riversandosi poi nello spazio antistante sfidando il freddo della mattinata. «Oggi - ha affermato don Fulvio Marcioni durante le esequie - salutiamo un figlio, un marito, un padre, un amico, un generoso: inutile dire che il vuoto lasciato da Massimo sarà palpabile».
E ha aggiunto: «Ho voluto accendere le luci natalizie che ancora addobbano la chiesa come inno alla vita perché ora l’importante, nel dolore, è riuscire a stringerci per trovare comunque il rapporto di fiducia con Dio». Spentosi rapidamente a 51 anni dopo un malore che l’ha costretto a un immediato ricovero all’ospedale di Cattinara, Zitter era conosciuto e apprezzato in città sia per il suo lavoro (attivo per molti anni come artigiano edile, da appena un mese aveva iniziato a lavorare per la ditta Pm service) sia per il volontariato che lo vedeva attivo nella sezione goriziana degli Alpini e come dirigente della Pro Gorizia prima e dell’Us Azzurra poi.
Più volte, nel corso dell’omelia, don Fulvio ha infatti sottolineato l’abbraccio con cui tutti hanno voluto circondare la famiglia: «Si capisce dalla vostra presenza quanto questa tragedia abbia toccato la città e ci dice in modo cristallino, lapalissiano quanto Massimo fosse una bella persona, forse mettendo le esigenze degli altri sempre prima delle proprie. Ed è anche per questo che, senza reticenza, possiamo dire che non capiamo, che non è giusto».
«Quasi per consolarci, diciamo che sono sempre i migliori che se ne vanno, quelli che lasciano segni di luce evidenti: ed è quindi ancor più inconcepibile che venga strappato alla sua perla, alla sua famiglia, proprio colui che ne era la colonna portante». Ad affollare la chiesa i colleghi di lavoro, una delegazione degli Alpini, i quadri e i giovani dell’Azzurra con le divise di quella squadra che, rispettando le richieste della famiglia, è l’unica presente con una corona deposta sull’altare.
Un piccolo cuscino di rose bianche impreziosisce la bara portando i nomi della moglie Deborah e dei figli Federico e Isabella. Nell’omelia il parroco ha parole per ognuno dei familiari: per il fratello Roberto e la mamma Nelida, che d’ora in poi saranno vegliati dall’alto da Massimo e dal padre Vittorio, scomparso solo sei anni fa; per Deborah con cui «vi siete conosciuti da ragazzi e avete capito che valeva la pena investire l’uno sull’altra».
Parole affettuose anche per i figli a cui ha senz’altro lasciato un luminoso esempio di condivisione e generosità. «Forse – ha chiosato il parroco dopo alcuni ricordi personali di momenti condivisi con Massimo Zitter – inizialmente poteva sembrare schivo, magari pure burbero bastava però avvicinarlo e subito si capiva che cuore grande avesse, capace di dare senza aspettarsi di ricevere».
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