il confronto
Gran finale di èStoria sulle date di Israele e Gaza, fischi e applausi a Gorizia
L'incontro ieri al Teatro Verdi gremito con Benny Morris, Federico Rampini e Marco Travaglio. Lo storico israeliano: «Netanyahu è un criminale».
Sono volati fischi ma anche applausi nel confronto di ieri pomeriggio a èStoria, dedicato a una delle date che sta già segnando il presente: il 7 ottobre 2023. Il clou del festival della storia di Gorizia è stato infatti dedicato al ritorno di fiamma della guerra tra Israele e Palestina, partendo dall’attacco terroristico di Hamas a un rave che ha provocato oltre 1200 morti e 250 persone catturate come ostaggi. Da allora, il governo di Benjamin Netanyahu ha avviato una controffensiva di fuoco sulla Striscia di Gaza.
Tanti i temi emersi dagli interventi dei tre ospiti sul palco di un gremito Teatro Verdi: lo storico israeliano Benny Morris e i giornalisti Federico Rampini e Marco Travaglio, moderati dal volto della Tgr Fvg Antonio di Bartolomeo. Posizioni che non hanno mancato di provocare la reazione del pubblico, con alcuni fischi arrivati verso Morris quando si è espresso sui missili lanciati da Israele verso Gaza: «I miliziani di Hamas si nascondono nei tunnel sotterranei ed inevitabile che si colpiscono anche civili». Ha però condannato l’attuale primo ministro: «Netanyahu è un criminale».
Per lo studioso, infatti, il capo del governo di unità nazionale - protagonista della politica israeliana dalla fine degli anni Novanta - il vero problema è proprio lui: «È un politico corrotto, prolunga il suo governo solo per tenersi lontano dalla prigione, dove dovrebbe finire presto». Viceversa, ha respinto le accuse che Tel Aviv starebbe compiendo un genocidio: «I numeri di vittime a Gaza che vengono sempre citati provengono da Hamas, il rapporto dell’Onu su donne e bambini morti indica metà di quei numeri. Non c'è un massacro intenzionale».
Se anche per Travaglio non è corretta la parola genocidio, quantomeno dal punto di vista semantico, lo stesso ha rilevato una contraddizione rispetto alla risposta occidentale in Ucraina: «C’è un doppio peso rispetto alle sanzioni inflitte a Putin. Perché non mandiamo le armi ai civili a Gaza? Perché non succede niente contro Netanyahu? Continuiamo a considerare le vite delle persone a seconda dei paralleli, la gente si incazza e ci odia». Rampini, invece, ha guardato alle reazioni nel mondo arabo, rilevando lo scollamento di molti Paesi dalle posizioni di Hamas.
«Quelle classi dirigenti - così l’editorialista del Corriere della Sera - vogliono spegnere la deflagrazione già in atto per non essere risucchiati, per l’ennesima volta, in un vortice con il popolo palestinese con cui sono sempre meno solidali». Ha quindi elogiato il ruolo dell’Arabia Saudita, pur rilevando che non sia una realtà da esaltare: «Ha un regime dispotico e autoritario, ma il principe bin Salman ha dei meriti: la condizione della donna è migliorata moltissimo e il suo Paese ha smesso di essere fonte di finanziamento per la cultura jihadista».
Una vittoria, questa secondo la firma, «verso la cultura del vittimismo presente nel mondo arabo che incolpava solo l’Occidente». Oltre a questo angolo di mondo, ci sono anche altre potenze legate a doppio filo a quanto sta accadendo, in primis gli Usa dove, ha rilevato ancora Rampini che vive oltreoceano, la politica estera sta tornando un tema centrale nelle imminenti elezioni presidenziali. In particolare per i riflessi che sta avendo la guerra nella società americana, con lo stesso Morris che ha evidenziato un antisemitismo riesploso dopo il 7 ottobre.
Guardando al possibile futuro, per il direttore del Fatto Quotidiano «la guerra contro Hamas è persa così come quella in Ucraina. Per rimettere piede al tavolo delle trattative servirebbero due statisti, ma non c’è né tra gli israeliani né tra i palestinesi». Per Rampini, anche se oggi uscisse di scena Netanyahu, il clima si è talmente polarizzato da portare al governo un altro leader analogo. «Purtroppo l’estrema destra in Israele è in ascesa - è l’analisi di Morris - Hamas non sta lottando per i palestinesi ma vuole la distruzione dello stato ebraico».
Foto Bumbaca
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