Gorizia, le emozioni di Stefano Massini aprono 'Verdi racconta'

Gorizia, le emozioni di Stefano Massini aprono 'Verdi racconta'

TEATRO VERDI

Gorizia, le emozioni di Stefano Massini aprono 'Verdi racconta'

Di Rossana D'Ambrosio • Pubblicato il 26 Gen 2025
Copertina per Gorizia, le emozioni di Stefano Massini aprono 'Verdi racconta'

Lo spettacolo è andato in scena ieri sera coinvolgendo il pubblico in un appassionante viaggio, in un florilegio di storie in bilico fra favola e vita reale.

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Uno spettacolo sempre diverso, che nasce e si plasma estraendo alcune lettere da un baule. La sezione “Verdi racconta” è stata inaugurata sabato 25 gennaio dalla pièce andata in scena al teatro Verdi, scritta e interpretata da Stefano Massini, drammaturgo formatosi al Piccolo Teatro di Milano oltre che personaggio televisivo di “Piazzapulita” e “Ricomincio da Raitre”. Attraverso un immaginario alfabeto in cui ogni lettera è un’emozione, l’autore ha trascinato il pubblico in un travolgente viaggio in quell’universo che si cela dentro ciascuno. Un sogno in comune con Luca Ronconi - del quale Massini era allievo - che porta in scena soltanto una minima parte di questo favoloso “incendio di emozioni”.

Innanzi a un tema tanto scomodo, Massini avverte la necessità di «spogliarsi del copione da recitare a memoria» per forgiare il proprio sentire in una collezione di storie concatenate. Evitando così di realizzare uno «spettacolo protetto» in cui rimanere «blindato», per arrischiarsi come Dario Fo in una sorta di teatro della parola. Un’operazione che ricorda quella compiuta da Roland Barthes nel saggio “Frammenti di un discorso amoroso”, che analizza dalla lettera “A” alla “V” l’amore in ogni sua sfaccettatura, mentre Massini indaga il sentire nell’accezione universale.

Il testo nasce nel 2020 nel tentativo di raccontare quel complesso meccanismo di reazioni attraverso cui l’essere umano «risponde alle provocazioni del mondo esterno», andando a scavare nelle profondità per interrogarsi su quel miscuglio di emozioni primarie che caratterizza l’esistenza. Emozioni che, al pari dei colori primari sulla tavolozza di un pittore – «rosso, giallo, blu» – dipingono la tela che ci rappresenta, mescolando le sei emozioni fondamentali: tristezza, felicità, rabbia, paura, sorpresa e disgusto. Un florilegio di storie con l’incipit della favola, che tuttavia ci narrano la vita reale.

Dove il «c’era una volta, e detto così potrebbe sembrare l’inizio di una fiaba, se non fosse che è assoluta verità» si ripete in uno schema identico, mostrando la prima lettera estratta - la “P” -accompagnata dall’interrogativo «chi sono gli eroi?». Protagonista della riflessione sulla “paura” è Nicki Lauda, che in quell’afoso agosto del 1976 sta per trionfare ancora una volta e aggiudicarsi il titolo mondiale. A tradirlo è la pioggia, a causa della quale la Ferrari si ribalta ed esplode. «Lauda bruciava come un tizzone», ma due settimane più tardi scende nuovamente in pista. In Giappone viene colto ancora una volta dalla pioggia, ma stavolta rinuncia, poi accusato di codardia dai giornali. A Lauda si affianca la storia di Aldo Moro, che scrive alla moglie Nora «Ho paura». L’uno viene considerato un vigliacco, l’altro un politico incapace di essere ancora preso sul serio.

«Forse la paura che ci fa più paura è la paura stessa», conclude Massini, estraendo la seconda emozione dal baule: è la “G” di “gioia”. Al centro della favola c’è Mansa Musa, nono imperatore dell’impero del Mali e primo della dinastia Laye. Il re parte verso La Mecca, scortato da cammelli carichi del tesoro di corte, cedendo le proprie ricchezze per il piacere di vedere sorridere gli indigenti. «Tutti pensano che io sia un uomo felice, che la gioia abiti in me perché sono ricco – osserva Mansa Musa attraverso Massini - ma dentro ho un’intollerabile tristezza». Quella che si contrappone alla gioia, che invece «oggi è diventata un imperativo». «Abbiamo talmente paura della tristezza che ci circondiamo di sorrisi artificiali, plastificati», ciecamente convinti che la felicità stia nell’essere accettati e raccogliere “like”. «La verità è che il giudizio degli altri è sempre circoscritto», ricorda Massini, proponendo una «top five» dei santi. Da San Colombano, arbitrariamente patrono dei motociclisti, si passa a San Giuseppe da Copertino, protettore degli astronauti, e persino all’Arcangelo Gabriele, che veglia sui postini.

Con la lettera “N” ci si addentra nella vita di uno sconosciuto giovane Goethe, chiamato a combattere nella guerra contro la Francia. A roderlo e togliergli il sonno è il “nostos algos”, il dolore del ritorno e della nostalgia. Finché, giunto a Coblenza, realizza che non intende tornare a casa. Perché in fondo qualcosa irrimediabilmente sfugge e serba in sé sentimenti opposti, come quella “N” che cela in sé l’essenza del “nome”. «Ogni essere umano viene al mondo con un nome che lo aspetta», imposto da altri. «E se è facile rispondere alla domanda “Come ti chiami”, è difficile rispondere al “Cosa c’è dentro il tuo nome?”». Come Anna Alvarez estratta dalle macerie e sopravvissuta grazie a una serie fortuita di cubicoli e che, incalzata dal giornalista, risponde: «Da 28 anni ero convinta di essere claustrofobica». Un viaggio nelle emozioni alla ricerca di quel sé inafferrabile, che conduce lo spettatore a scoprire attraverso un chiasmo «che la tua forza è la tua debolezza, e la tua debolezza è la tua inarrestabile forza». E dunque “N” è da intendersi anche come quella “nebbia interiore” nella quale non ci si riconosce. 

Con la lettera “D” del “dolore” ecco affiorare invece la storia dell’attivista Nina Giustiniani, che appena a sette anni appoggia la Repubblica. Nina viene condotta in manicomio per aver indossato abiti di uno sgargiante colore rosso, contro l’obbligo del lutto in seguito alla morte di sua maestà. «Il mondo intorno a me ha il terrore del dolore, e in questo terrore io non vivo», scrive all’artigliere che, per la cronaca, è Camillo Benso conte di Cavour. Un intermezzo divertente lo inscena la lettera “H”, che ci mostra una serie di equivoci giocati sul termine “wc”, scambiato per “wedding church”, dove gli sposi devono riconsegnare i foglietti all’uscita «anche se sono sporchi e spiegazzati». Quindi si passa alla “U” di “umanità”, con la straordinaria storia della maestra Elizabeth Gray Vining, scelta per insegnare all’imperatore Akihito mentre era ancora bambino. Ultima viene la “S”, che racconta dell’orfanotrofio di New Orleans, dove uno scalmanato Luis Armstrong di dieci anni si stupisce di fronte alla tromba. Dove può concludersi, il nostro viaggio, se non nello studio della dottoressa Anne Freud? Qui una paziente ricorda «gli infiniti pezzi dimenticati su innumerevoli massi», indicandoci quei volti, quei traguardi, quelle emozioni in cui perdersi e ancora una volta ritrovarsi, tornando a sé da distanze invalicabili.

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