L’INTERVISTA
Gorizia, a Elisabetta Sgarbi il Premio alla cultura cinematografica Sergio Amidei 2024
La pellicola “I nomi del signor Sulčič” verrà proiettata al Kinemax di Gorizia sabato 30 alle 17.30. L’autrice incontrerà il pubblico e riceverà il riconoscimento alle ore 20.
Lo sguardo penetrante tradisce un’intelligenza e una personalità forte. Elisabetta Sgarbi nasce nella malinconica Ferrara da una coppia di farmacisti che ne influenzerà gli studi universitari. Sorella minore del critico d’arte e politico Vittorio, abbandonerà la città Estense per trasferirsi a Milano, dove fonda la rivista Panta e la rassegna culturale “La Milanesiana”, per poi ricoprire il ruolo di direttore editoriale della casa editrice Bompiani fino al 2015. Una strepitosa carriera che la condurrà a fondare insieme a Umberto Eco La nave di Teseo, che tuttora dirige. In parallelo, muove i primi passi nel mondo del cinema con il documentario “Belle di notte” (2001), il successivo “Non chiederci la parola” (2008) e innumerevoli altri lavori, approdando al lungometraggio con “Notte senza fine” (2005) e altre pellicole, l’ultima delle quali - “I nomi del signor Sulčič” (2018) - verrà proiettata al Kinemax di Gorizia sabato 30 novembre alle 17.30. Alle ore 20, l’autrice incontrerà il pubblico e riceverà il Premio alla Cultura Cinematografica “Sergio Amidei” 2024, mentre subito dopo si potrà assistere alla proiezione de “Il viaggio della signorina Vila” (2012) e “L’altrove più vicino: un viaggio in Slovenia” (2017); tutti gli spettacoli sono a ingresso gratuito.
Abbiamo avuto modo di approfondire con Elisabetta la sua straordinaria passione per l’arte e la cultura, delineando una figura emblematica in cui l’arte si declina in tutte le sue sfumature. Le abbiamo fatto qualche domanda. Ecco l’intervista.
Una laurea in farmacia e una professione poliedrica nell'ambito artistico: come si può conciliare la formazione scientifica con la sfera artistica?
Nella mia biografia a lungo non si sono conciliate. Ho abbandonato Ro Ferrarese dove c’è la farmacia di mio padre e mia madre, e sono venuta a lavorare a Milano. Col tempo mi sono riconciliata: ora sono titolare di quella stessa farmacia di famiglia, che è gestita da due brave farmaciste che, per caso, si chiamano Sgarbi. In generale la formazione scientifica mi ha dato un senso dell’ordine e del rigore, che nell’editoria serve sempre.
Oltre che aver diretto la Bompiani e dirigere al momento la casa editrice La nave di Teseo, svolgi una prolifica attività di regia. Che studi hai condotto? Hai avuto modo di affiancare i grandi maestri? Chi è il regista che ti ha maggiormente influenzata?
Un grande maestro è stato Luciano Emmer con cui ho lavorato, in occasione di un suo cortometraggio intitolato “Nostalgia-Balthus”, e in occasione di un mio film in cui lui dialogava con mio fratello Vittorio. E anche in due film in cui dialogava con due scrittrici, Alice Ferney, e Erica Jong. E poi torno a citare Enrico Ghezzi. Senza di lui non avrei visto tanto cinema che per me è stato fondamentale.
Nel documentario "Non chiederci la parola" racconti la poesia del Sacro Monte di Varallo attraverso la neve che cade e le statue che sembrano prendere vita. Mentre in "Se hai una montagna di neve, tienila all'ombra" approfondisci il tema della politica e della cultura in senso lato. Che cos'è la cultura, per Elisabetta?
È una domanda molto vasta. È un sapere curioso che fa vedere quanto vasto è ciò che c’è ancora da vedere.
Ha senso parlare di cultura, oggi che le diversità culturali dividono, piuttosto che unire?
La curiosità e il sapere non dividono mai, semmai aiutano a creare ponti. Umberto Eco all’apertura dell’Expo di Milano disse ai Ministri della Cultura di tutti i paesi coinvolti che loro erano i veri Ministri degli Esteri, perché il sapere e la curiosità di scoprire e scoprirsi allontanano la paura e il rischio di trasformare un vicino in un nemico.
Si può trasmettere il sapere, nelle scuole, oppure l'insegnante deve limitarsi ad affrontare la burocrazia del suo ruolo, svilendosi a vantaggio del programma ministeriale?
La scuola deve fornire strumenti essenziali per interpretare il mondo. Deve certamente fornire nozioni e un senso della storia. Il professore poi, ma questa è forse una mia idea romantica, deve accendere la scintilla, destare la curiosità in uno studente. Quando Camus vinse il Premio Nobel scrisse subito una lettera bellissima di ringraziamento al suo professore che gli aveva trasmesso l’amore per la letteratura.
È facile, essere sorella di Vittorio? Com'erano i vostri rapporti, durante la giovinezza, e come sono quelli attuali? Sei sempre riuscita a conservare un tuo spazio indipendente, oppure hai vissuto nell'ombra della sua figura?
Siamo fratelli, e non penso che il nostro rapporto sia diverso da altri analoghi tra fratello e sorella. Ci vogliamo molto bene, e lui ne vuole a me. Nessuno dei due ha mai fatto ombra all’altro.
Quali progetti ti aspettano?
Tante cose, tanti libri, l’uscita del film in marzo. Ora mi godo il Premio Amidei, però.
Foto di Simona Chioccia
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