I giorni di Demetrio Volcic nell’Europa dell’Est, il suo ultimo libro ospite in Senato

I giorni di Demetrio Volcic nell’Europa dell’Est, il suo ultimo libro ospite in Senato

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I giorni di Demetrio Volcic nell’Europa dell’Est, il suo ultimo libro ospite in Senato

Di Rossana D'Ambrosio • Pubblicato il 10 Apr 2024
Copertina per I giorni di Demetrio Volcic nell’Europa dell’Est, il suo ultimo libro ospite in Senato

Ieri sera la presentazione del volume postumo in Senato, la senatrice Rojc: «Il suo è un nome da tutelare soprattutto in vista del 2025».

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A pochi passi dalla Ljubljanica - il fiume che scorre nel cuore di Lubiana – sorge un elegante caffè dall’animo retrò, con i lampadari di cristallo che ricordano Praga e i macaron francesi esposti in vetrina insieme alle classiche creme carsoline. È il caffè Zvezda, dove il giornalista di Gorizia Demetrio Volcic trascorreva «bellissimi pomeriggi insieme al padre», come ha ricordato la senatrice Tatjana Rojc. Si è svolto nel pomeriggio di ieri, presso la Sala Zuccari del Senato della Repubblica a Roma, la presentazione del volume “A cavallo del muro. I miei giorni nell’Europa dell’Est” su iniziativa della stessa Rojc.

Scritto da Volcic, ma curato da Paolo Possamai – già direttore del Piccolo di Trieste e attuale direttore di Nem – e Livio Semolič, segretario dell'Unione culturale economica slovena (Skgz), il testo presenta una prefazione scritta dal senatore Jas Gawronski, cui segue la nota dell’ex presidente del Consiglio Romano Prodi e del vicepresidente Walter Veltroni. Un giornalista corrispondente che «da grandissimo conoscitore dell’Europa dell’Est – come lo ha dipinto Rojc – sapeva entrare nelle case degli italiani» per raccontare con trasporto «le vicende di un’Europa semisconosciuta». Quella dei Balcani, ma anche del colpo di Stato in Polonia e delle vicende della Repubblica Ceca.

Un gigante che ha saputo narrare «la vera Mitteleuropa, più che come luogo geografico come luogo dell’anima e della cultura – ancora Rojc – Un uomo di frontiera e delle relazioni globali» che ha interpretato i territori al di là della Cortina di ferro con l’occhio dell’inviato e la penna di Claudio Magris. Fondamentale fu il ruolo di senatore, che ricoprì dal 1997 sostituendo il compianto Darko Bratina, con l’impegno accorato di tutelare la minoranza slovena. L’altro merito fu quello di porre l’accento sull’Europa «esempio di convivenza», esaltandone «la grande carica culturale e spirituale».

Una mente da ricordare e «un nome da tutelare soprattutto in vista del 2025, quando le città di Gorizia e Nova Gorica saranno capitali della cultura», ha rimarcato la senatrice. Fu Gawronski ad affiancarlo a Mosca, quando Villy De Luca lo richiamò da Parigi e poi in seguito, quando si ritrovarono al Parlamento europeo. «Quando lo nominarono direttore del Tg 1 mi meravigliai, perché la sua conoscenza politica era scarsa», ricorda Gawronski, richiamando alla memoria quel suo “sapersi accontentare”. Umiltà che traspare anche dalle parole di Corrado Augias, intervenuto al convegno insieme al senatore Luigi Zanda.

«Si presenta col sorriso del fallito elencando una serie di incidenti e contrattempi che gli hanno impedito lo scoop – chiosa Augias, in riferimento alla prefazione “La mia carriera di scoop mancati” – L’autoironia, in cui Volcic eccelleva, è pericolosa. È l’arte con cui non ci si prende troppo sul serio, che autorizza gli altri a non prenderci sul serio». Un’arte che il corrispondente esercitava «senza perdere autorevolezza», con una sorta di «doppio salto acrobatico carpiato». E richiamando “La verità del momento” - raccolta di scritti dell’altro grande inviato Bernardo Valli – Augias ha ribadito come in Volcic «la verità del momento largamente sopravvive al momento. Sia in riferimento ai pezzi sul socialismo reale, sia in merito a un’Unione sovietica proto-putiniana, in cui Demetrio riesce a cogliere i sintomi di una realtà che è quella che abbiamo oggi sotto gli occhi».

Una sorta di metatesto che relaziona il passato con il reale, dove «la realtà si dilata a rappresentare il saggio storico». Sotto questa luce riposa la sua grandezza di cronista: nell’aver colto «i segni nascenti che, sviluppati, sarebbero divenuti la realtà che abbiamo sotto gli occhi». E ricordando come il termine “Volcic” in lingua slovena significhi “lupetto”, ha concluso con affetto: «È stato il nostro caro lupetto mandato al di là della Cortina di ferro».

Dal canto suo, Zanda ha ricordato con nostalgia le estati trascorse alla Pelosa, la spiaggia di Stintino dove Demetrio aveva acquistato una casa insieme alla moglie Edoarda. Gli occhi curiosi e scrutatori, «aveva la capacità di muoversi con disinvoltura su tutto – racconta, ricordando anche le partite di calcio con i ragazzi quindicenni – E poi a Stintino c’erano i Berlinguer, i Segni; ma Demetrio era la voce di riferimento», cronista e abile analista. Come nel caso del colpo di Stato in Polonia, quando si è interrogato retoricamente sulle alternative. «Demetrio la ritiene una soluzione necessaria, e lo stesso ritiene per la presa di potere da parte di Putin», pur senza poter prevedere il tragico prosieguo.

Un professionista in grado di discernere realtà complesse, come quelle instauratesi con la “dittatura della paura” messa in scena da Putin, cui è dedicata l’ultima parte del diario di viaggio. «Putin diventa capo di Stato attraverso una carriera nei Servizi segreti», ha spiegato Zanda - riportando un’intervista di Volcic a un ex agente del Kgb, dove si analizzano le implicazioni fra la Russia e l’attentato al papa Karol Wojtyla. E se Semolič ha rimarcato «la profonda amicizia» che lo legava a Volcic, assieme al quale frequentava le osterie di Lubiana, Possamai si è soffermato sul metodo «che lo ha reso fuori dall’ordinario», attraverso un testo che «non ci sta proponendo una somma di fotografie. Non è la silloge di un album. Lui ha montato un film», una pellicola che condensa a racchiudere come prezioso scrigno quei «50 anni di professione e di ricerca della verità».

Laddove l’incontro con Putin esprime un determinato momento storico, ma lo studio «con la passione dell’entomologo» rappresenta la «somma dei punti che determinano la linea». Quella linea che raggiunge i giorni nostri, «arriva fino a noi e ci interroga rispetto al nostro presente. Il seme della lettura politica di Putin consiste nella ricostruzione della Grande Russia», un’intuizione che Volcic ha lasciato ai posteri arrendendosi al suo tempo finito. Non da ultimo, Zanda ha citato l’ultimo testo pubblicato da Volcic, il quale delineava con chiarezza i tratti del dittatore russo, additato come “piccolo Zar”.

Nel ringraziare Gawronski, Zanda ha voluto ricordare il dibattito “Oltre il muro” che ebbe luogo a Gorizia a vent’anni dalla caduta del muro di Berlino, protagonisti Volcic e Gawronski. Muri e propaggini di cortine dimenticate, baluardi ormai privi di significato, oggi soltanto a monito di quanto le guerre siano inutili.

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