la recensione
Il gioco di luci della Venere di Drusilla Foer: «Ah Gorizia, che incantevole!»

Ieri sera lo spettacolo con Drusilla Foer, nei panni della dea trasferitasi a Parigi. Lo spettacolo tra tragedia e commedia e intramezzato dal canto.
Dopo il travolgente “Sister act”, stavolta è Apuleio con le sue “Metamorfosi” ad accendere i riflettori sul palco del Teatro Verdi di Gorizia, ancora una volta sold out. Lo fa attraverso il personaggio di Drusilla Foer – alter ego di Gianluca Gori, classe 1967 – coautrice dell’adattamento insieme a Giancarlo Marinelli. È andato in scena nella serata di ieri lo spettacolo “Venere nemica”, un testo ispirato alla favola “Amore e Psiche” per la regia di Dimitri Milopulos.
«Finché lui non si firmerà come “lui” parlo di “lei” – spiega Milopulos, alludendo alla persona Gianluca e al personaggio Drusilla – In camerino parlo con “lui”, quando indossa la parrucca diventa “lei”». Un personaggio che, dopo il lancio su Youtube con “Venti minuti di lei” del 2011, inizia a prendere corpo teatrale a Firenze alla fine del 2015, quando Milopulos propone a Gori uno spettacolo. «Non si era mai buttato, faceva video, ma non teatro. Gli ho proposto qualcosa al Teatro della Limonaia. E così nel 2016 nasce “Eleganzissima”. Viene vista da Franco Godi, che diventa suo produttore e la porta a Milano».
«Uno spettacolo per il quale io ho lavorato alle luci, ma che in realtà non ha una firma. Piuttosto, è stata una collaborazione», specifica. Una carriera impressionane, a partire dalle sale di teatro gremite per “Eleganzissima” fino al debutto in tv e poi a Sanremo al fianco di Amadeus nel 2022, proiettandosi verso il successo. «Subito prima del Covid mi aveva proposto un lavoro sul mito di “Amore e Psiche”, e lì ho acconsentito – racconta Milopulos – Il testo lo ha scritto lui. Abbiamo lavorato all’aspetto drammaturgico, finché lo spettacolo ha visto la luce a inizio del 2020».
«Purtroppo ha avuto una vita breve, perché dopo le prime sei repliche abbiamo chiuso a causa del Covid. Ora lo abbiamo rivisitato, modificandolo rispetto al debutto. È uno spettacolo che è cresciuto ulteriormente, con cui siamo andati in scena venti giorni fa».
L’incipit si apre con lei, la dea della bellezza, seduta a un tavolo mentre trattiene a stento la rabbia in quel luogo simbolico in cui è dato esprimersi, «il teatro, luogo sacro dell’ascolto». «Tacere. Io dovrei tacere. Quella stupida vigliacca intende ch’io taccia». La ferocia inaudita contro la nuora che gli ha sottratto il figlio la rende succube del proprio odio persino quando l’altra sarà in dolce attesa.
La dea fa il suo teatrale ingresso come una star, dopo uno shopping sfrenato. «Dov’è che siamo?», chiede a quella che pare essere la sua cameriera. «A Gorizia, Madame», risponde l’altra. «Ah. Gorizia, che incantevole!». Ed eccola, Venere, che «dopo aver girovagato secoli e abitato ogni angolo della terra» sceglie di vivere nella città dell’alta moda e dell’amore, con chiara allusione al suo egocentrismo. La scenografia stessa - costruita con specchi deformanti – rimanda in un continuo gioco di riflessi e lampi di luce alla quintessenza di una donna incentrata esclusivamente sulla sua figura. «Io sono sempre stata la mia unica priorità», ripeterà a Psiche, quasi a giustificare la propria incapacità d’amare.
Nella mondana Parigi la dea immortale vive lontano dagli odiati parenti, prigioniera del proprio livore. Nata in fondo al mare «dentro una stupida conchiglia», insofferente per la vita dei fondali con le sue «alghe che ti si appiccicano in faccia», Afrodite è «divorata dalla propria bellezza». Incapace di vedere oltre le apparenze, distorce i sentimenti degli animi umani, considerando l’Ego come «un tarlo» in grado di rovinare le vite dei mortali. Dei “miseri mortali” è in grado di apprezzare soltanto ciò che è nella sua stessa natura: la vanità. Che «non è quella cazzata di “specchio specchio delle mie brame”, no. È egocentrismo, potere, manipolazione, presunzione, vanità muta, pur restando sempre la stessa, unica e potente e patetica allo stesso tempo».
Una pièce teatrale brillante costruita come interpunto fra tragedia e commedia e a tratti intramezzata dal canto – con una ironica Drusilla che canta “Bye bye Baby” di Marilyn Monroe quando Psiche viene abbandonata - Dove i doppi sensi sfociano nella risata, come nella sfilza di eroi richiamati alla memoria, «Laerte, Ulisse, Achille», rimpiazzati da «Batman Robin e Maradona», mentre la cameriera chiede: «Ma se li è fatti tutti?», «No, Batman e Robin no – risponde Venere - Io credo che siano gay».
Oppure nei nomi dei personaggi immaginari ai quali si rivolge la dea, come fossero realmente in scena: «Priapo, bambino, sempre con quel coso alzato? Hermes, adoro i tuoi foulard!». Un palco su cui prendono vita personaggi inesistenti, accanto all’interpretazione graffiante delle due uniche attrici, Drusilla Foer ed Elena Talenti. Quest’ultima, sciogliendosi i capelli, scopriremo essere proprio Psiche, accolta dalla suocera dopo aver superato tutte le prove, poiché l’amore con Cupido si rivela distruttivo: «Così quell’amore divino si rivelò disumano, fuggii da lui» per raggiungere «lei, che come me desiderava solo d’essere amata».
«Gianluca ha una personalità complessa come la mia – spiega Milopulos - Nella sua recitazione nulla è lasciato al caso. Non c’è nessun falso movimento, non affiora nessuna gratuità, tutto è bilanciato. È stato un lavoro complesso, perché ho diretto Drusilla Foer che interpreta Venere. Non è Gianluca, che interpreta Venere, ma Drusilla. Quindi il lavoro era “dedrusillizzare” Venere. È uno spettacolo diverso, rispetto a “Eleganzissima”, più teatrale. La creazione di Drusilla è importante e intelligente, nella misura in cui non si tratta di “una maschera” e basta. C’è dietro un lavoro immenso, in grado di concretizzare il personaggio e renderlo reale. Drusilla esiste, c’è».
E davvero lo spettatore ha incontrato Venere, «quella della schiuma del mare». Per una serata dèi e mortali hanno potuto soffrire e gioire assieme, uniti in un immaginario Olimpo.
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