l'intervista
Gigi Riva e la Sardegna, il figlio Nicola a Gorizia: «Vi racconto chi era mio papà»
Il figlio del grande campione sarà martedì sera ospite dell'èStoria film festival con il docufilm di Riccardo Milani: «La Juve lo voleva a tutti i costi».
Quello di Gigi Riva è un nome che trascende il calcio, ormai patrimonio comune anche per coloro che non sono tifosi o seguono lo sport. Un eco che dalla Sardegna, terra che lo adottò quando aveva solo 19 anni, si è sparso in tutta Italia e nel resto del mondo, che potè ammirarne le qualità con la Nazionale. Venuto a mancare lo scorso 22 gennaio, il ricordo del grande attaccante, rimasto per sempre legato al Cagliari, arriverà a Gorizia martedì 21 maggio alle 20.30 con il docufilm Nel nostro cielo un rombo di tuono.
L’appuntamento, inserito all’interno dell’èStoria film festival, porterà al Kinemax il regista Riccardo Milani, il giornalista sportivo Giampaolo Mauro e Nicola Riva, figlio di Rombo di tuono. «Da quando è morto papà - racconta quest’ultimo - non ho rivisto il film perché ho paura. Forse lo rivedrò per la prima volta proprio a Gorizia».
Il film è uscito nel 2022, prima della scomparsa di suo padre. Quale fu la sua reazione la prima volta che l’ha visto?
Quella sera rimane particolare. Il regista è diventato un amico di casa e di mio papà. Attraverso i valori che gli ha trasmesso, Milani è riuscito a convincerlo a fare una cosa che altrimenti non avrebbe mai voluto fare. A mio padre non piaceva autocelebrarsi ed essere al centro dell’attenzione. Alla prima, lui non usciva da tempo di casa e fu un’emozione grande e forte. Il film di per sé è bello perché non racconta solo la sua storia, ma il binomio tra lui e la Sardegna, la crescita che hanno avuto in contemporanea. Era una terra sconosciuta ai più e si diceva che si veniva mandati qui per punizione. Venne venduto proprio al Cagliari ma c’erano tante squadre che lo volevano. Quella fu la prima squadra del sud a vincere lo scudetto, lui poi ha deciso di non andare più via.
Perché rimase sull'isola?
Si è sentito uno di loro, non solo un simbolo del calcio ma un uomo di famiglia. Era arrivato in Sardegna da orfano, trovando una famiglia e lui non si è mai sentito di tradire la famiglia. È stata la scelta che gli ha dato di più dal punto di vista affettivo. La simpatia che papà aveva dai tifosi delle altre squadre è perché le bandiere piacciono a tutti, tutti vorrebbero un giocatore simbolo nella loro squadra del cuore.
Lui arrivò dalla Lombardia, cosa significò ambientarsi laggiù?
All’inizio pensava di fare uno o due anni lì e poi andarsene. Trovò un campo in terra battuta, cosa che non aveva mai visto. Quando è arrivato, però, è nato un rapporto particolare, non solo con i compagni di squadra ma anche con la gente. Il sardo è generalmente diffidente, prima di dare deve fidarsi. C’è stata quindi questa unione, come se lui caratterialmente fosse già un po’ sardo. Inizialmente non era una cosa scontata che potesse nascere un rapporto così come poi è nato.
Riva è rimasto tutta la carriera sull’isola, ma erano arrivate proposte da altri club?
Ne arrivarono tante, una su tutte quella della Juventus perché Agnelli e Boniperti non erano abituati ai no dei giocatori. Dopo ogni partita, si presentava un emissario della Juventus con la proposta. Lui è stato dato spesso per venduto, a quel tempo erano le società a decidere ma mio papà è stato forse l’unico a poter decidere del suo futuro. Giunsero anche proposte che non si potevano rifiutare, come un miliardo di lire e sei giocatori in cambio: era stato praticamente già venduto dall’allora presidente del Cagliari, ma lui non volle. Era di una coerenza unica, quando diceva no era no. Non c’erano possibilità di fargli cambiare idea.
Nel realizzare questo film, ha scoperto lei stesso un Riva diverso?
Ho incontrato un papà diverso negli ultimi anni, quando era tornato a essere il Luigi che voleva condividere la vita con la sua famiglia e ho iniziato ad approfondirne la conoscenza. Ho cominciato a fargli domande sul suo passato, lui ha avuto un’infanzia drammatica. Ora era più propenso a raccontare qualcosa più di sé stesso, prima era un tabù. Si doveva fidare per parlare della sua vita privata e Milani è stato bravo a instaurare un rapporto fiduciario.
Ha cambiato modo di guardare quel film da quando suo padre non c’è più?
Ogni immagine di papà degli ultimi anni mi fa venire le lacrime, è un po’ la storia anche della mia vita. Da bambino, mio papà era Gigi Riva: lo vedevo poco e non sono riuscito a goderlo come avrei voluto. Vedere le ultime immagini di mio papà da anziano mi fa molto male. Questa scomparsa la sto condividendo con tutti i sardi, è come se avessero perso un pezzo della loro famiglia. Sono venute migliaia di persone alla camera mortuaria con le lacrime vere, era come un membro delle loro famiglie.
A cos’era più legato della Sardegna?
Si è innamorato proprio dei sardi. Lui è stato sempre dalla parte dei più deboli, non gli sono mai piaciuti i soprusi del grande verso il piccolo. Quando ha vinto lo scudetto, i sardi erano trattati male, definiti pastori e banditi quando andavano a giocare. Si è immolato come paladino per portarli a un livello di parità. L’atteggiamento del sardo è simile al suo: quando si fida ti dà tutto, ciò va oltre il discorso del calcio. Lui, che da bambino ha fatto il collegio ed era orfano, ha sofferto anche quel tipo di situazione.
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