Gianni Oliva e i 45 milioni di antifascisti a èStoria, «chi non si oppose al Duce»

Gianni Oliva e i 45 milioni di antifascisti a èStoria, «chi non si oppose al Duce»

l'intervista

Gianni Oliva e i 45 milioni di antifascisti a èStoria, «chi non si oppose al Duce»

Di Eliana Mogorovich • Pubblicato il 23 Mag 2024
Copertina per Gianni Oliva e i 45 milioni di antifascisti a èStoria, «chi non si oppose al Duce»

Lo storico sarà ospite venerdì pomeriggio nella sala Storica dell'Ugg a Gorizia: «Conoscere il passato è necessario per comprendere, non giustificare».

Condividi
Tempo di lettura

L’accettazione del regime, la guerra, la caduta del fascismo, il rinnegare l’ideologia che fino a un attimo prima si era sostenuta per trovare una fuga dalle conseguenze. Nella vulgata della storia si tende a pensare al Ventennio come l’imposizione di ideali accettati supinamente per garantirsi la sopravvivenza, fisica in primis ma anche economica e sociale. Lontano da tutto ciò, la possibilità di mantenere la propria libertà e integrità morale: pochi l’hanno fatto, troppo pochi per impedire l’ascesa del Fascismo. Un tema che ritorna a èStoria.

Eppure all’indomani della sua caduta in molti hanno negato qualsiasi compromissione tanto da suscitare il lucido sarcasmo di Churchill: «In Italia sino al 25 luglio c’erano 45 milioni di fascisti; dal giorno dopo, 45 milioni di antifascisti. Ma non mi risulta che l’Italia abbia 90 milioni di abitanti». È da questa considerazione che parte Gianni Oliva nel suo ultimo libro “45 milioni di antifascisti” (edizioni Mondadori) di cui lo storico dialogherà con Simone Cuva venerdì 24 maggio alle 17.30 nella Sala Storica dell’Ugg a Gorizia. A lui, già insegnante di Lettere e dirigente scolastico di lungo corso, abbiamo rivolto alcune domande sul suo volume e sull’importanza dello studio della storia contemporanea.

Su quali documenti si è basato per questo libro? E come si lega a quelli che l'hanno preceduto, dedicati al periodo conclusivo della Seconda guerra mondiale, alla Resistenza, ai crimini compiuti nella Rsi?
Mi sono basato sulla bibliografia esistente sul periodo 1922-1945, che è realmente vastissima, e su alcune mie ricerche pregresse, fatte negli anni scorsi ad esempio ai National Archives di Washington per le vicende della frontiera adriatica e ai Public Record Office di Londra per i prigionieri fascisti di Coltano. In un certo senso, è un volume nel quale ho cercato di sistematizzare il mio lavoro di storico del Novecento, di “problematizzarne” i nodi al di là della “vulgata”.

45 milioni di fascisti durante la guerra, 45 milioni di antifasciti dopo: ma prima della guerra in Italia c'erano 45 milioni di...?
Prima della guerra c’erano 45 milioni di italiani educati dalla scuola e dall’informazione del Ventennio ai miti del combattentismo, della patria, della bella morte, dell’eroismo: sono gli Italiani che il 10 giugno 1940 – e basta digitare la data su Google per verificarlo - esultano quando Mussolini annuncia la guerra.

In molti però sembra condividessero realmente gli ideali di Mussolini: penso per esempio a Telesio Interlandi e al gruppo editoriale de "La difesa della razza", ma anche ai soldati mandati nelle colonie africane. C'era effettivamente un sostrato culturale condiviso che ha facilitato la presa di potere del fascismo?
Il fascismo è stato il modello di tutti i regimi illiberali che si sono sviluppati in Europa nel XX secolo: ha usato la repressione per far tacere gli oppositori, ma soprattutto ha creato un grande consenso di massa, controllando le nuove generazioni attraverso la scuola e l’opinione pubblica attraverso la manipolazione dell’informazione.

In casa ho spesso sentito dire "non si poteva fare altrimenti" pur di lavorare se non tacere e accettare: di chi è stata la responsabilità maggiore, delle autorità che non si sono opposte o del popolo che non si è ribellato?
“Non si poteva fare altrimenti” è una tesi giustificazionista. In realtà, la maggior parte degli Italiani non si è nemmeno posta il problema di fare diversamente. Per quanto riguarda le classi popolari, che non avevano strumenti alternativi, è comprensibile, per quanto riguarda la classe dirigente no: il “fascismo” non l’ha fatto Mussolini da solo, lo hanno fatto con lui i prefetti, i questori, i magistrati, i professori universitari, i giornalisti, i burocratici dei ministeri, i grandi gruppi economico-finanziari. Appunto, la classe dirigente, al netto dei coraggiosi che hanno pagato con il carcere, il confino, l’esilio. Un esempio su tutti: nel 1931 Mussolini – come noto - ha obbligato i docenti universitari a giurare fedeltà al regime e 13 di loro hanno detto “no”, perdendo la cattedra. Giustissimo ricordare e onorare i 13: ma quell’anno i professori erano 1.848. Ciò che caratterizza l’atteggiamento dell’accademia sono i 1.835 che hanno detto “si”, il 99%

Spesso si sente e si legge che la situazione di oggi può portare alla perdita delle libertà: secondo lei ci sono delle tangenze fra il periodo in cui ha preso il potere il fascismo e il nostro tempo?
Il fascismo è un fenomeno storico di quasi un secolo fa, inutile fare forzature su similitudini e corsi/ricorsi. La politica deve analizzare e interpretare il presente, non nascondersi dietro suggestioni del passato. Vale per chi sta in maggioranza come per chi sta all’opposizione. Detto questo, c’è un solo vaccino contro le derive autoritarie: la partecipazione consapevole dei cittadini alla vita pubblica. E questa, purtroppo, oggi mi sembra fragile.

Lei è stato a lungo insegnante e dirigente scolastico: cosa ha insegnato sul Novecento ai suoi ragazzi?
Ai miei studenti ho cercato di insegnare il Novecento nella concatenazione delle sue vicende: non si può capire ciò che accade “oggi” se non si conosce ciò che è accaduto “ieri”. Ma, nel contempo, non bisogna mai usare ciò che è accaduto “prima” per giustificare ciò che accade “dopo”, altrimenti la storia sarebbe deterministica. Ad esempio, non possiamo parlare di foibe e di esodo senza parlare del nazionalismo fascista e della occupazione della Jugoslavia fra il 1941 e il 1943. Ma, allo stesso modo, non possiamo sostenere che violenze e persecuzioni titine siano giustificate dai crimini precedenti. Conoscere il passato è necessario per comprendere, non per giustificare.

Ultimamente ci sono molte dichiarazioni da parte del Ministro dell'Istruzione su cosa dovrebbe essere sfoltito dai programmi scolastici. Il Novecento è solitamente compresso nello scorcio dell'anno scolastico: quanto sarebbe opportuno dedicargli tempo per comprendere il presente?
Mi piacerebbe se un ministro dell’Istruzione stabilisse che in tutti i trienni della scuola superiore si studia la storia a partire dalla rivoluzione francese: da storico mi piange il cuore per quanto si trascurerebbe, ma se non c’è tempo per studiare tutto, studiamo il passato prossimo, non il passato remoto. Oggi qualsiasi studente sa qualcosa di Annibale o dell’assassinio di Giulio Cesare, ma non ha mai sentito parlare di Piazza Fontana o di Aldo Moro: la totale disinformazione sul presente è inaccettabile.

Rimani sempre aggiornato sulle ultime notizie dal Territorio, iscriviti al nostro canale Telegram e Whatsapp, seguici su Facebook o su Instagram! Per segnalazioni (anche Whatsapp e Telegram) la redazione de Il Goriziano è contattabile al +39 328 663 0311.

Articoli correlati
...
Occhiello

Notizia 1 sezione

...
Occhiello

Notizia 2 sezione

...
Occhiello

Notizia 3 sezione

×