Gianni Amelio porta Campo di battaglia a Gorizia, «ora sei ambasciatore di Go!2025»

Gianni Amelio porta Campo di battaglia a Gorizia, «ora sei ambasciatore di Go!2025»

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Gianni Amelio porta Campo di battaglia a Gorizia, «ora sei ambasciatore di Go!2025»

Di Eliana Mogorovich • Pubblicato il 09 Set 2024
Copertina per Gianni Amelio porta Campo di battaglia a Gorizia, «ora sei ambasciatore di Go!2025»

Ospiti ieri pomeriggio al Kinemax dopo la prima a Venezia, il regista assieme ad Alessandro Borghi ha presentato il film davanti alla platea gremita.

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I tormenti di coscienza e le atmosfere angoscianti della pellicola da un lato, la vivacità e i continui scambi di battute fra Gianni Amelio e Alessandro Borghi dall’altro sono stati gli estremi attorno a cui si è svolta l’anteprima di “Campo di battaglia”, proiettato ieri pomeriggio al Kinemax di Gorizia in una sala oltremodo gremita. «Quanti siamo qui dentro?» ha domandato il regista pugliese a Beppe Longo, direttore di Transmedia, coinvolto nell’avvio di una sorta di spot promozionale per la pellicola. «Diciamo 350 – ha preso la parola Borghi – e se a 300 di queste persone il film non piacerà, non lo dicano a nessuno».

E di nuovo Amelio: «Le altre 50 invece possono attaccarsi al telefonino: spero usino i social, abbiano dei follower e non smettano di scrivere quanto è bello, convincendo anche gli acerrimi nemici a venire a vederlo».

Girata per buona parte in Friuli Venezia Giulia fra Udine, Venzone, Villa Manin e con diversi e riconoscibili scorci goriziani, “Campo di battaglia” è reduce dalla presentazione alla Mostra del Cinema di Venezia dove, primo film italiano in concorso, è stato accolto da sette minuti di applausi. A salutare la proiezione del film, nelle sale dal 5 settembre, la direttrice del Gect Romina Kocina e gli assessori comunali Artico e Oreti. «Avendo vinto due volte, lei ormai è un amico dell’Amidei» ha affermato quest’ultimo rivolgendosi ad Amelio, che prontamente ha ribattuto: «Guardi che con l’Amidei non ho mica finito» auspicando un ritorno a Gorizia per un possibile terzo premio (i primi nel 2017 con “La tenerezza” e, lo scorso anno, per “Il signore delle formiche”).

Entrambi gli assessori hanno idealmente assegnato al regista il compito di ambasciatore di Go!2025: «Benvenuto in Go!2025: qui c’era un confine doloroso che in un minuto è stato abbattuto e il confine ora è diventato occasione di pace e dialogo. Speriamo che Gianni Amelio ci aiuti a veicolare questo messaggio» ha affermato Artico cui si è affiancato l’assessore alla Cultura suggerendo al regista che «il nostro posto è pieno di storie da raccontare, quindi chiedo di raccontare ciò che succede adesso». E un messaggio di gratitudine è stato poi espresso da Chiara Omero, coordinatrice della Film Commission Fvg, che si è detta onorata per il fatto che sia stata scelta la nostra regione, insieme al Trentino, come location per il set, ribadendo quindi la disponibilità a ospitare progetti futuri.

Fin dal suo apparire, Amelio e Alessandro Borghi hanno dato vita a degli sketch che hanno coinvolto il pubblico suscitando ilarità ma anche accompagnandolo a riflettere sull’importanza del cinema. «Non lo so se la sala sarebbe stata così piena se non ci fossimo stati noi, perché comunque fa figo incontrare il regista, l’attore… Il passaparola è la cosa più bella che ci possiate regalare perché è importante portare persone al cinema: aiutate anche noi, anche per tornare a Gorizia a girare “Campo di battaglia 2”».

E un ulteriore momento di simpatia Gianni Amelio lo ha regalato chiamando al suo fianco l’aiuto regista goriziano Paolo Giacomo Marino: «Lui è stato la colla che ha tenuto unite tutte le persone di questo film» e Marino, di rimando: «Il motivo per cui mi ha voluto come aiuto l’ho scoperto oggi. Quando ci siamo conosciuti mi ha chiesto cosa avessi fatto e quando ho risposto “Le rose nel deserto” di Mario Monicelli ha deciso di coinvolgermi perchè ha pensato che avendo lavorato con un regista di 92 anni avrei potuto farcela pure con uno di 80».

Amelio spiega poi la genesi del personaggio di Giulio, cucito addosso a Borghi fin dal primo momento in cui i due si sono incontrati e racconta il suo modo in continuo divenire di intendere la sceneggiatura, costruita su una base di ferro che finisce per plasmarsi quotidianamente sulle sue idee. Fondamentale, per lui, agire “di pancia” in modo che anche i riferimenti al presente, in tutti i suoi film evidenti quanto scomodi, non risultano costruiti a tavolino ma nascono dalla sottomissione del cervello al sentimento, senza che questo agevoli l’affezione degli spettatori ai personaggi.

Prodotto da Kavac Film, Ibc Movie, One Art e Rai Cinema, ispirato al romanzo La sfida di Carlo Patriarca, il film è quasi interamente ambientato nelle corsie di un ospedale militare in cui si scontrano due diverse visioni della guerra: un dovere cui sottostare regalando la propria vita e la propria salute alla Patria e uno scenario da cui salvarsi per dare priorità agli affetti lontani. E uno degli aspetti che più duramente emerge dalla pellicola è proprio la distanza non solo di visione ideologica ma anche geografica fra i personaggi, che per la maggior parte affidano le proprie parole al dialetto riversando nel Nord le parole di quel Sud a cui non si può tornare in licenza per il pericolo di diserzione.

Ma non è solo la guerra a mietere vittime fra militari e civili: lo scoppio dell’epidemia spagnola riempie gli ospedali rendendo difficile la gestione – anche mediatica – di ciò che sta succedendo e costringendo a decisioni difficili tutti i personaggi (accanto a Borghi, Gabriel Montesi e Federica Rosellini). Proprio come quattro anni fa. Mentre a fare da sottofondo al film, risuonano le parole: «A far l’Italia resteranno solo i furbi». Un refrain che dalla pellicola echeggia spesso nelle conversazioni quotidiane.

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