il progetto
Le foto di Steve McCurry racconteranno Gorizia, «questo luogo mi ha toccato»
Presentato oggi il progetto che vede coinvolto il grande fotografo, insieme a lui anche i colleghi Meta Krese e Alex Majoli. Nascerà una mostra dedicata.
Conosciuto in tutto il mondo per lo sguardo ipnotico della ragazza afgana apparsa in copertina al National Geographic nel 1985, oggi pomeriggio (giovedì 27 giugno) Steve McCurry ha preso parte alla conferenza stampa per il progetto “Tre Sguardi, Go!2025” - cui lavorerà insieme alla slovena Meta Krese - presso la scenografica cornice di palazzo Attems Petznstein a Gorizia. «È un lavoro importante per tutte le città che conoscono un confine – ha sottolineato Krese – che non deve essere inteso come divisione». Ad affiancare McCurry e Krese ci sarà anche l’italiano Alex Majoli, fotoreporter dell’agenzia Magnum.
Un programma appoggiato dalla Regione Friuli Venezia Giulia, dal Centro ricerche e archiviazione della fotografia (Craf) e dall’Ente regionale per il patrimonio culturale della nostra regione. «Progetto, non bozza», rimarca il coordinatore di Promoturismo Fvg Claudio Tognoni, spiegando come i tre fotografi avranno «ciascuno uno storytelling» incentrato sul percorso evolutivo di Nova Gorica e Gorizia: passato e presente delle due città, un tempo separate e oggi unite dal confine. Per Steve McCurry è stato filmato un backstage, con interviste scritte dal giornalista Roberto Covaz, che insieme alle foto confluiranno in una mostra da allestire a Gorizia, per cristallizzarsi in tre distinti volumi.
«In occasione di Go!2025 è importante realizzare una serie di produzioni che coinvolgono diverse arti – ha rimarcato il vicepresidente della Regione con delega alla cultura Mario Anzil - Con la finalità di creare e poter disporre di un bene immateriale che possa, anche in futuro, testimoniare quello che fu l'anno della Capitale europea della cultura». Progetti che spaziano dal teatro al cinema, abbracciando la fotografia anche grazie al Craf di Spilimbergo. «Gorizia e Nova Gorica sono state divise per lungo tempo da una “cortina di ferro”, da un presidio armato; poi, improvvisamente, lo stesso territorio ha mutato forma e modi, ed è stato proiettato nel cuore dell'Europa. Con un confine venuto meno sono caduti la distanza, la divisione, il muro della comunicazione», ha ribadito Anzil.
Un cambiamento che si traduce in «opportunità», in cui il confine possa simboleggiare quel «fiume» sul quale costruire ponti. Dal concetto di “confine” delineato da Gabriele Salvatores nei suoi cortometraggi alla fotografia come mezzo e strumento di ricerca, indagine intorno ai frammenti di vita, quei riflessi di quanto un tempo rappresentava la linea di demarcazione oggi impalpabile. È ciò di cui si faranno interpreti i due fotografi – una slovena e l’altro italiano - ai quali si affiancherà lo sguardo di un uomo che ha traversato il mondo per restituirci reportage di guerra, street photography e ritratti in grado di mostrare l’animo umano con un solo scatto.
A collaborare al backstage è stato Marco Rossitti, ricercatore presso l’università di Udine e regista che si è avvalso del supporto di quindici professionisti. Presente in sala anche Biba Giacchetti, curatrice delle mostre di Steve McCurry da 27 lunghi anni. «Ne abbiamo fatte 65, una a Pordenone quasi dieci anni fa – racconta – L’idea era proporgli di fare ritratti, poi abbiamo scoperto storie importanti che meritavano di avere una luce propria. In questi giorni sta lavorando ai ritratti, lui ama definirsi uno storyteller. Avremo un McCurry particolare, che ci auguriamo possa essere un piccolo seme da accrescersi in qualcosa di più importante». Lo stesso si auspica il primo cittadino Rodolfo Ziberna, secondo il quale «la speranza è che McCurry possa fotografare l’anima del nostro territorio». Mentre per Tomaž Horvat, vicesindaco di Nova Gorica, la fotografia rappresenta la risposta al bisogno di cultura.
«È la prima volta che vengo qui – ha confessato McCurry – Trent’anni fa mi ritrovai a vivere in Slovenia per un mese. Ora ho incontrato tante persone, giovani e anziani». Fra i suoi incontri spicca Giulia Sandrin - autrice di un testo sugli incendi che hanno devastato il Carso – ma anche i coniugi che narrano del confine, o la signora anziana che racconta gli anni alle scuole elementari. «Sono stato in Italia per la prima volta 50 anni fa – prosegue McCurry – quando molti di voi qui in sala non erano ancora nati. Poi sono tornato decine e decine di volte, ma quest’area mi ha toccato, e intendo farvi ritorno». Meravigliato da un territorio sconfinare è ormai una prassi senza soluzione di continuità, McCurry è affascinato da una «situazione fluida», in cui le differenze non vengono percepite.
«Venni in Slovenia per la prima volta a vent’anni, mi sembrò un tuffo nel passato. Poi tornai nel 1989, per sei mesi. E devo dire che in questo luogo mi sento a mio agio». Fra i suoi maestri, Henri Cartier-Bresson e Tina Modotti, dai quali ha estrapolato il genio. Luci soffuse prive di contrasti, con cui ama lavorare ricreando atmosfere morbide. Sarà probabilmente questo, lo stile che immortalerà il cimitero di Merna, dove ha potuto rinvenire «la linea che trancia in due una tomba, una cosa pazzesca», rivela con sconcerto. Vivi e morti uniti in un’unica patria, dove le spoglie di chi non c’è più restano a testimoniare lo scandalo insensato di ogni confine o guerra.
Foto Lorenzo Campolongo
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