La famiglia surreale a Gradisca in '4, 5, 6': «Siamo vittime e carnefici»

La famiglia surreale a Gradisca in '4, 5, 6': «Siamo vittime e carnefici»

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La famiglia surreale a Gradisca in '4, 5, 6': «Siamo vittime e carnefici»

Di Eliana Mogorovich • Pubblicato il 12 Mar 2024
Copertina per La famiglia surreale a Gradisca in '4, 5, 6': «Siamo vittime e carnefici»

Gran parte del cast ha alle spalle la partecipazione alla fortunata serie Boris, un'intervista a quattro per scoprire i temi raccontati sul palco.

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Padre, madre e figlio. Una famiglia del Sud isolata, chiusa anche nell’uso di un linguaggio unico, nervosa, i cui membri sono ignoranti, diffidenti, nervosi, in una parola: si odiano. Poi, all’orizzonte, il barlume di una tregua rappresentato da un ospite atteso da tempo, come colui che può e deve cambiare il loro futuro. Questa la situazione in cui si muovono i quattro protagonisti di “4 5 6”, la commedia che andrà in scena in anteprima regionale domani sera alle 21 al Nuovo Teatro Comunale di Gradisca d’Isonzo prima di passare, venerdì, al Teatro Nuovo Giovanni da Udine.

Lo spettacolo, prodotto da Marche Teatro, Nutrimenti Terrestri e Walsh è stato scritto e diretto da Mattia Torre, precocemente scomparso nel 2019 dopo aver firmato l’omonimo sequel televisivo del testo, prodotto da Inteatro e andato in onda su La7 all’interno del programma “The show must go off” di Serena Dandini. Come lui, tre quarti del cast ha alle spalle la partecipazione alla fortunata serie “Boris” con cui “4 5 6 “ condivide la dimensione surreale. A interpretare la coppia di ottusi coniugi Cristina Pellegrino e Massimo De Lorenzo, Carlo De Ruggieri è il figlio Ginesio mentre l’atteso ospite Gargiulo ha il volto e la voce di Giordano Agrusta. Li abbiamo raggiunti per qualche battuta a distanza sullo spettacolo (per il quale le prevendite saranno aperte anche un’ora prima dell’inizio).

De Lorenzo
Come mai la scelta di ambientare la storia al Sud? E cosa cambierebbe spostandola geograficamente?
Questa scelta è nata da una suggestione avuta da Mattia Torre durante un viaggio in macchina verso la Sicilia, sulla Salerno-Reggio Calabria. Il linguaggio è sicuramente ricco di riferimenti meridionali ma non solo: ci sono anche parole in latino e molti termini inventati da lui. Anche i numerosi cibi presenti sono trasformazioni di piatti di ogni parte d’Italia. Spostarla in un altro luogo geografico avrebbe forse cambiato il linguaggio, ma non i temi della storia: ciò che si racconta è un luogo isolato, una famiglia chiusa in se stessa e nelle proprie paure per cui potrebbe collocarsi in qualsiasi luogo sulla terra.

Su quale aspetto o problematica indagata dal testo ha puntato maggiormente l’attenzione l’autore e regista?
I temi sono la paura, la chiusura mentale, la rabbia e la violenza che queste precondizioni possono generare. Tutto nasce da un paradosso: raccontare i componenti di una famiglia che sfogano le proprie frustrazioni gli uni sugli altri, fino alla violenza fisica oltre che verbale. Trasformando, così, un luogo che dovrebbe dare calore e sicurezza in uno degli ambienti in cui più facilmente si rischia di morire.

Pellegrino
Quanto è importante per lo svolgersi della vicenda il lessico familiare dei personaggi?

La “vicenda” intesa come plot, quindi come storia nuda e cruda, direi che non va avanti grazie al linguaggio, ma anzi quasi nonostante esso. Il lessico particolare che usano questi personaggi è una miscela di dialetti, parole inventate, derivazioni latine, francesi spagnole, che ha sì uno scopo chiaramente comico e grottesco - ed è la cifra stilistica più particolare e seducente dello spettacolo, un’invenzione libera dell’autore - ma che è anche il sintomo di una difficoltà comunicativa dei personaggi.

La vicenda si muove invece più per grandi spostamenti di energia, di desideri e paure, molte paure, che sono sotto al linguaggio. La sensazione che abbiamo da dentro è che anche il pubblico all’inizio sia spiazzato e confuso, come è giusto che sia, ma poi, man mano si va avanti, riesce a entrare in questo gioco lessicale e ne viene rapito.

È appena passata la giornata della donna: che tipo femminile è il suo personaggio e come si pone nell'universo maschile che la circonda?
Maria Guglielma, come gli altri due elementi della famiglia, è schiacciata ma non dòmita da questa condizione familiare di isolamento e sopraffazioni L’aspetto della violenza, che è presente nello spettacolo, è subito ma anche agito, soprattutto nei confronti del figlio, più debole, che nei confronti del marito. A volte è vittima, a volte è carnefice, in una girandola di alleanze con gli altri membri della famiglia. Accetta o comunque sopporta in qualche modo i ruoli “tradizionali” familiari, il cucinare, l’autorità del marito, ma fino a un certo punto, più in maniera formale che sostanziale e nelle pieghe e nelle crepe dei suoi còmpiti cerca in maniera ostinata il suo riscatto e la sua felicità. Nel corso della storia poi si farà, diciamo così, sempre più audace.

De Ruggieri
Lo stagista Lorenzo, qui il figlio che spera di uscire di casa: si sente in qualche modo il rappresentante di una generazione che ha perso punti di riferimento e cerca un posto nel mondo?

No, queste sono considerazioni che spettano al pubblico o alle analisi della critica. Poi essendo gli autori di Boris, io e Mattia figli del nostro tempo è inevitabile che le situazioni e i personaggi possano avere una lettura generazionale.

Quale dei due ruoli ha avuto più difficoltà a interpretare?
Non ho avuto grandi difficoltà a vestire i panni di nessuno dei due perché quando un copione o una sceneggiatura è scritta da una persona che conosci bene, capisci già in prima lettura cosa e come vuole che quel personaggio sia. Per Lorenzo ho dovuto imparare a maneggiare in modo credibile le macchine da presa, steady cam e segway. Per Ginesio il lavoro è stato più complesso sia da un punto di vista fisico che da un punto di vista più intimo: “4 5 6” è uno spettacolo tragicomico che ti mette in contatto con le zone più oscure del proprio vissuto, da far emergere in punti precisi della storia. Dosare le due facce della vicenda, quella comica e quella drammatica, è uno sforzo che si rinnova ogni volta, di replica in replica.

Agrusta
La speranza che un fattore esterno risolva dei problemi si può considerare un ulteriore “personaggio” dello spettacolo?
Decisamente: a mio parere l'esterno, inteso come "il fuori", l'estraneo all'ambiente che ospita la vicenda raccontata in “4 5 6” è una componente fondamentale. Da fuori provengono le minacce, ma anche le vicinanze, la morte e la salvezza. È un agente esterno - e quindi sì: un personaggio - a rappresentare l'unica via di uscita per Ovidio, il capofamiglia.

Come è stato per lei inserirsi in un gruppo che già aveva lavorato insieme per “Boris”?
Inserirsi in questo gruppo già coeso è stato bello: vuol dire portare se stessi come elemento di novità e allo stesso tempo essere in costante dialogo con i colleghi. Significa crescere e far crescere. Cristina, Carlo e Massimo mi hanno accolto fin da subito e sviluppato con me un rapporto dialettico che dalla prima volta del nostro incontro, nel 2017, non è mai cessato. Mi trovo bene con loro e devo loro e a Mattia molta della mia soddisfazione professionale e della mia felicità.

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