L'Europa al bivio tra guerra e pace, gli esperti a Gorizia: «Ecco cosa sta succedendo»

L'Europa al bivio tra guerra e pace, gli esperti a Gorizia: «Ecco cosa sta succedendo»

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L'Europa al bivio tra guerra e pace, gli esperti a Gorizia: «Ecco cosa sta succedendo»

Di Rossana D'Ambrosio • Pubblicato il 12 Set 2024
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Ieri sera l'incontro con il politologo ed editorialista Emanuele Parsi, insieme a Irene Panozzo e Matteo Legrenzi. Le colpe e le paure per l'Europa.

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L’Europa a un bivio, in bilico fra guerra e pace. Non è un romanzo di Tolstoj, ma la realtà dei tempi nostri. Una riflessione che si è svolta ieri (mercoledì 11 settembre) alle 18 presso l’Auditorium della cultura friulana di Gorizia, cui ha preso parte anche il politologo ed editorialista Emanuele Parsi. A introdurre l’incontro Giuseppe Ieraci con Federico Donelli come moderatore, docenti dell’Università di Trieste (organizzatrice dell'evento). «Mai come in questi tempi c’è bisogno di riflettere sul presente – ha rimarcato il presidente della Fondazione Carigo Alberto Bergamin, salutando i presenti – Per capire come impostare il futuro. Come fondazione lavoriamo con le scuole e le nuove generazioni, e siamo tutti angosciati di sapere cosa si sta preparando».

«Oggi il tema è l’Europa - ha rimarcato - perché stiamo perdendo di vista il disegno di quel continente che ci era stato consegnato, che oggi sta attraversando un momento di grande disorientamento». Concorde il sindaco Rodolfo Ziberna, secondo il quale «se non c’è pace non c’è cultura». Tavola rotonda che – come ha evidenziato il direttore del dipartimento Georg Meyr - ha rappresentato l’anteprima della convention annuale di Scienze politiche, affrontando un tema «di terribile attualità», con una situazione internazionale caotica in cui «le nostre certezze sono venute meno», ha osservato Meyr. «Gorizia è la sede dei nostri corsi internazionalistici, ma al di là della sede universitaria operativa da 35 anni l’incontro in questa città ha una valenza simbolica enorme, che tocca la guerra e la pace».

Un luogo per lungo tempo fulcro di odi e atrocità, in cui finalmente è possibile vivere nel segno tangibile di un «superamento dei conflitti». Ancora in fase di perfezionamento è l’accordo fra le tre università di Udine, Nova Gorica e Trieste «per costruire un futuro comune – rivela il il responsabile dei progetti Gect Go, Ezio Benedetti – A partire dall’eredità storica». «Adoro questa parte d’Italia lontana da tutto - ha rivelato Parsi alludendo alla nostra regione – È una zona d’Italia meravigliosa, con gente bellissima». L’autore di “Titanic – naufragio o cambio di rotta per l’ordine liberale” (Il Mulino, 2022) ha spiegato come l’ordine liberale internazionale sia venuto progressivamente a mancare.

«Il venir meno di quest’ordine è un problema. Se il mondo vede l’emergere di soggetti che contestano i principi di quell’ordine liberale, il futuro dell’Europa è estremamente difficile. Parlo dei prossimi dieci o quindi anni. Questo spiega l’allarme lanciato da Mario Draghi», sottolinea riferendosi al rapporto pubblicato il 9 settembre dalla Commissione europea. «L’Europa non è riuscita a impedire la guerra nel continente – prosegue - né riesce ad avere influenza sul Medioriente. In Africa siamo stati rimpiazzati da cinesi e russi, mentre la capacità suasiva dei partiti politici evidenzia una visione semplificatrice, che rimanda a una prospettiva bucolica».

Un rimescolamento degli equilibri internazionali evidente in primis nel continente nero, sul quale si è espressa la political advisor Irene Panozzo. «È difficile riassumere il continente africano – sottolinea Panozzo – Sono 54 Paesi con storie diverse. Nel Sahel, che era area d’influenza francese, si è voluto allontanare francesi ed europei in missione civile, scegliendo una partnership con la Russia. Prima con le milizie di Prigožin, poi divenendo parte del Cremlino. Uno scacco agli interessi europei in Africa». Anche nel Corno d’Africa è presente un’infiltrazione russa, un’area divenuta «terreno di interessi conflittuali tra diversi attori».

In tutto questo, Panozzo evidenzia la mancanza di una politica europea comune e la difficoltà di «mettere d’accordo 27 Paesi». In un momento storico nel quale «il peso politico europeo è irrilevante», come osserva Donelli, il sette ottobre s’innesca la miccia fra Israele e Gaza. «Questa tragedia immane non cambia nulla – interviene Matteo Legrenzi dell’università Ca’ Foscari – Non apre soluzioni politiche rispetto al 1973. Fra due o tre anni Israele rioccuperà Gaza, abbandonata nel 2005 perché andare avanti con milioni di persone che si opponevano era un compito improbo. “Che fare?”, come diceva Lenin? Tentare di abbassare la temperatura. Ma senza un cessate il fuoco sarà sempre più difficile raggiungere una soluzione politica».

Uno scacco di fronte al quale ogni strada intrapresa sembra quella sbagliata. «Bertrand de Jouvenel diceva “In politica non ci sono soluzioni”», osserva Ieraci. «Una caratteristica del tempo in cui viviamo è la volatilità – riflette Parsi – Come lo sono i mercati finanziari. Ma in un sistema volatile gli operatori non smettono di lavorare. Dunque, il quadro non deve scoraggiare. Qual è il punto? In Italia si parla di trattativa e di pace, perché è il Paese che fa più fatica a fare i conti con realtà fastidiose. Basti pensare al debito pubblico. Il nostro è un Paese in cui si fanno gli slogan. Spesso sui giornali italiani si irride la democrazia in Ucraina».

«Dal canto loro, gli ucraini vogliono essere ancorati all’Occidente e all’Unione europea, non ai russi. Dobbiamo sempre ragionare in termini d’interesse e principi? La risposta è sì. Non possiamo tollerare 42mila morti a Gaza, li faceva la Wehrmacht in Russia. Dobbiamo essere coerenti, altrimenti compromettiamo il futuro dei nostri figli». Concorde Panozzo, secondo la quale «la coerenza è fondamentale. Quello che è successo dopo il sette ottobre va a ledere la credibilità dell’Unione europea come attore di sviluppo. Nel voto in ordine sparso in assemblea generale, i Paesi africani si sono astenuti sulle diverse risoluzioni proposte da europei e africani, oppure si sono allineati con la Russia, come l’Eritrea».

«Sentire Lenarčič e Borrell dire cose diverse dalla Von Der Leyen è stato un colpo duro. Cosa c’è da fare? Cercare di costruire un punto decisionale europeo, mantenere la coerenza e la credibilità in tempi rapidi. Il problema sono gli stessi Stati membri, gelosi della propria autonomia». Mentre secondo Legrenzi la sfida più importante consiste nell’instaurare una politica industriale. «Gli Stati membri della Nato spendono due terzi di quanto spendono gli Stati Uniti per la difesa, per via degli interessi industriali. La priorità è istituire una cultura strategica». Da un lato un’Unione europea assente, da risvegliare, dall’altra la necessità d’istituire una politica militare.

Un’impasse che secondo Parsi può essere superata rendendo i cittadini consapevoli e responsabili. «Il nostro lavoro è quello di fornire elementi di consapevolezza all’opinione pubblica. Bisogna consentire alle persone di assumersi responsabilità», conclude.

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