Il commento
L'editoriale: Un Natale che ci indichi il sentiero
Vivere, comprendere le necessità degli altri – e non solo ripetere lo sterile «a Natale siamo tutti più buoni» – in relazione alle nostre e porle sul piano pratico.
“Transeamus usque Betlehem, et videamus hoc verbum quod factum est”. Per decenni tra le fredde strade del Goriziano il celebre canto originario della Slesia e attribuito a Joseph Ignaz Schnabel si poteva udire nella notte o nella giornata di Natale. Se si pensa a come la musica sacra abbia abbellito le celebrazioni religiose in ogni tempo difficile, dalla carestia alle pestilenze, dalle guerre alle disgrazie, sembra fondamentale partire da qui, da un elemento comune a lingue, culture e tradizioni diverse che si uniscono nella musica.
Come il celebre “Laetentur coeli” del boemo Venceslao Wrattni, brano ottocentesco che da Gorizia ha raggiunto la Bisiacaria e la Grado dell’epoca, tanto da essere impresso nei repertori corali sia della città che dell’Isola. Insomma, come per tanti momenti liturgici ma soprattutto per quello di fine dicembre, non è Natale senza una certa musica. Le mode passano, le cose belle restano.
In un Natale 2021 dove lo spirito natalizio sembra quasi più flebile, esclamare con tono esortativo “transeamus”, “andiamo”, (“sì, ma dove?” pare naturale rispondere), insomma, dire: “Muoviamoci” sembra essere un atto quasi rivoluzionario. Perché? Perché si staglia contro lo schema dell’immobilismo di fronte non solo agli eventi ma anche ai tempi. La passività dell’accettazione rende amorale l’azione, anche quella più bonariamente spontanea.
In un’ottica più distaccata dal messaggio e dal sentire religioso, sembra quasi naturale porre l’esortazione del Transeamus in correlazione alla società contemporanea, nella quale siamo chiamati a vivere e relazionarci, vuol dire avere a che fare con un’idea ben più ampia che ci indica e ci impone l’azione. Azione mentale, azione sentimentale, azione pratica. Vivere, comprendere le necessità degli altri – e non solo ripetere lo sterile “a Natale siamo tutti più buoni” – in relazione alle nostre e porle sul piano pratico. Fare per me, fare per gli altri. Ascoltare, non sentire.
Sentirsi, insomma, come quel viandante che si ritrova, magari attorniato da candidi fiocchi di neve, in una silenziosa via di qualche secolo fa dove l’unico suono udibile rimane quello di un coro che dà la propria voce alle anime degli altri, nell’imperfezione di una città o paese di provincia che dà quello che può. In una tradizione che non vive per se stessa, ma per raccontare qualcosa in più. Come noi in questo Natale.
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