l'Editoriale
La responsabilità di una voce autorevole
Vivere un coro è come vivere una società. E in ogni società ci sono tante voci. Ma cosa comporta averne una autoritaria?
“Colda la sona in te la ciesa svoda,/la distende le antifone per aria:/la ciesa granda xe sita e solitaria,/quela vose armoniosa la consola”. Non ho potuto non pensare a questi versi di Biagio Marin nel salutare per l’ultima volta un cantore di quelli d’eccezione, un amico, un uomo tutto d’un pezzo e di altri tempi. Il buon Nino Rosso, al secolo Antonio Marchesan, mi accoglieva con un sorriso e mai una parola fuori posto ogni volta che ci si incontrava tra le calli o al Caffè prima di qualche celebrazione eucaristica, lui da tenore, io da organista.
Nino era una voce autorevole, non solo di timbro caldo e capace di articolare perfettamente le parole nell’atto del canto – qualcosa che, per chi, “alla vecchia maniera”, ha imparato a cantare imitando gli altri, nel senso buono dell’espressione, non è affatto scontato – ma anche sicura e capace di trainare l’intera sezione.
Una voce che, dunque, aveva su di sé una responsabilità non da poco: finché il brano prosegue correttamente non ci sono problemi, ma nel momento in cui una voce autorevole si discosta, per qualche motivo sbaglia, ecco che la delicata costruzione polifonica traballa.
In una situazione corale generalizzata nella quale mancano voci anche delle più semplici, veder finire un’epoca di voci storiche e, appunto, come piace chiamarle a me, “autorevoli”, inizia a essere un problema. Sono guida, quasi una fortezza sicura, e spesso lavorano con grande umiltà.
Ho pensato lungamente al ruolo di queste voci e non ho potuto non affiancarle, in uno dei miei voli pindarici, alla voce che, nella società, deve avere un giornalista. Una voce autorevole, nel senso proprio del vocabolo: “Che ha autorità, per la carica che riveste, per la funzione che esercita, per il prestigio, il credito, la stima di cui”, mi sottolinea la stessa Treccani, qualcosa che “rivela o ha in sé autorità”. Parliamo, quindi, di persone che si informano prima di informare, e che all’interno di una società già definita “liquida” ma che ormai ha già raggiunto lo stato gassoso, dunque sempre più evanescente e fuggevole, possono essere punti fermi. Persone il cui discorso e la cui riflessione scaturisce da un’analisi del tempo presente e della contingenza che non si ferma al mero fatto ma cerca di sviscerare ogni sfaccettatura, anche, se necessario, con il solo utilizzo dei tenui barbagli che la verità può far arrivare nei meandri più bassi della realtà.
Una voce autorevole si costruisce nel tempo. Non si fa largo a gomitate o spendendo amicizie o conoscenze: si fa riconoscere proprio per la limpidità del costante lavoro e del sudore, spesso.
Nel salutare il buon Nino, preso da mille pensieri sul futuro delle nostre compagini corali sacre, spesso vittime di disattenzione da parte di nuove, e seminuove generazioni, di qualunquismi o di tremende gelosie da sagrestia, mi sono domandato come essere anche solo un barlume di una tal autorevolezza per i lettori. A volte, nel silenzio, la coerenza dell’essere se stessi risulta essere la strada meno illuminata ma di maggiore autorità.
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