Una riflessione
L'Editoriale - L'Italia s'è dest(r)a
Il crescente astensionismo è un problema da affrontare con una politica che, in campagna elettorale, non ha dimostrato il meglio di sé.
C’è chi urla di giubilo e c’è chi si dispera. Chi utilizza i meme più disparati, chi si aggrega a Peppa pig che scappa e chi già urla al neofascismo. I social, in queste ore, sono scatenati. Per chi li reputa lo specchio della società, verrebbe da pensare alla Peste del Ballo del 1518 con gente che si dimena per le strade urlando, senza un apparente motivo. Questa mattina i risultati elettorali hanno dato un risultato che era abbastanza aspettato: la vittoria del centrodestra, con FdI in testa, un partito che ha saputo, in ogni caso, guadagnare terreno e passare dall'1,96 a sopra il 26%, e una Lega che annaspa, un centrosinistra che mantiene le sue percentuali di sostenitori ma che non riesce a farcela, i pentastellati che scivolano e una serie di partiti minori spesso ancora in cerca di una propria identità.
Forse si è urlato troppo “al lupo al lupo” e, ora, non si capisce bene se il lupo ci sia, se sia un’invenzione di chi urla o una psicosi di massa. O, ancora peggio, siamo noi stessi il lupo. In questa campagna elettorale, di slogan, faccioni e urla poco si è capito, se non che c’è sempre più gente che ha seri problemi a pagare le bollette e riuscire ad arrivare a fine mese.
In ogni caso a parlare è l’astensionismo: tantissimi giovani e numerosi elettori della cosiddetta “mezza età” – anche se, ormai, guai a definirla così, siamo giovani fino alla fine dei nostri giorni – non si sono recati alle urne, lasciandoci a un 63,91% di votanti totali. Ciò significa che è il più basso tasso della storia repubblicana ma anche un altro segnale: dopo una campagna elettorale dai toni pessimi, nei quali vince chi non è l’altro ma senza dare alcuna proposta, il popolo richiede moderazione ma anche una guida sicura. In questa situazione si inserisce, probabilmente, quella che sarà il primo premier donna (“la premiera”? “premieressa”? linguisticamente dibattito interessante). Eletta, però, non dalla sinistra, che già urla alla differenza tra “femminile” e “femminista”, ma dal mondo di destra.
In un clima politico che si divide nuovamente tra destra e sinistra, con aspetti sempre più marcati, manca la visione di un polo più moderato (il mondo cattolico dove è finito?). Si spacca la politica ma si spacca, soprattutto, il Paese: il Sud, di fatto, ha per metà disertato il voto. A far pensare dovrebbe essere proprio la necessità di riportare la politica a livelli umani, strapparla ai social, nei quali abbiamo visto soprattutto il peggio di ogni tipo di candidati, oltre che di elettori, e riportarla al suo posto. Una politica nobile e di visione ampia, che sappia guardare al futuro in un’ottica, ormai, che deve essere non solo quella europea ma di condivisione e collaborazione.
Noi, gente di confine, lo sappiamo bene: solo stringendo le mani, e non chiudendole, si può progredire. Il Covid avrebbe dovuto insegnarcelo, con i confini che sono tornati prepotenti sopra le teste di sindaci e cittadini, impotenti di fronte ai massi posti sulle strade e alle forze di polizia che presidiavano i valichi.
Il popolo ha deciso e nel nostro paese, che rimane democratico, la scelta va bene sempre e solo se è quella che pensiamo noi. Ci si faccia un esame di coscienza: chi si accinge a varcare, anche dal locale, i palazzi del potere lo faccia con consapevolezza, chi va agli scranni dell’opposizione, anche. Ci aspetta un inverno probabilmente non semplice. C’è da chiedersi, nell’opinione di ciascuno, se siamo stati più cicala o formica. Mi sa che tutti hanno urlato e, come sempre, i soliti hanno lavorato.
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