La storia
Echi francesi a Campolongo: la Rivoluzione in un piccolo paese del Friuli
Ferruccio Tassin ci racconta una storia particolare con l'arrivo a Campolongo di Antoine-Félix Leyris D’Esponchez, vescovo di Perpignano fuggito dalla rivoluzione.
A Campolongo presenza francese intensa? Parrebbe, da una nota, non contemporanea, pungente, nel Catapan: “I Francesi hanno abbandonato Campolongo nell’anno 1813. Che vi hanno lasciato di grata memoria? Ecco: la nomea di ladri, e rubarono e derubarono specialmente le Chiese, di donnaioli e patet, di spadaccini e a Campolongo duellavano sopra un praticello dietro la braida del sig. Pauletig per nonnulla. I fanciulli, oltre i soliti curiosi, vi occorrevano allo spettacolo di simili duelli…”.
Esponenti del clero erano arrivati in esilio nella Contea di Gorizia. Ne parla il parroco di Gradisca Sigfrido Baselli. Una decina di sacerdoti esuli a Gorizia, poi accolti alla Castagnavizza, il vescovo di Perpignano, ch’ ebbe “tetto e mensa ospitale” da mons. Pietro Codelli di Fahnenfeld, preposito della cattedrale. Era andato a Ferrara il vescovo esule, di là con altri a Visco per alcuni mesi, poi a Gradisca. Non trova pace: arrivano i Francesi (1 marzo 1797), si rifugia in Carinzia, e in Inghilterra.
Il Baselli lo dipinge “…saggio di Religioso morigerato, e poi tolerando con esemplare rassegnazione la perdita di ogni bene temporale, contento di rimanere fedele a Dio…”. Campolongo, centro d’effervescenza dei Galli, aveva esponenti della nobiltà e dell’alto clero. Vi si stabilì, col segretario Clemente Vanson, Antoine-Félix Leyris D’Esponchez, vescovo di Perpignano, peregrinante - dal 1792 - fra Roma, Terni, Ancona, Venezia, Gorizia. A Campolongo morì il 13 luglio 1801 (nato ad Alais il 20 dicembre 1750).
In un’epoca di grandi cambiamenti, fra momenti di rivoluzione e di reazione, benché legato all’assolutismo, cercò di essere pratico, per visione pastorale. Di lui, sappiamo da un dizionario biografico, pubblicato in Francia più di un secolo fa, da note del Catapan di Campolongo e da rare fonti.
Nobile, destinato, da giovanissimo, alla vita ecclesiastica, non occorre dilungarsi sulla Chiesa di allora, con molta parte del clero legata al beneficio, anziché all’ufficio, nonostante i cambiamenti dopo il Concilio di Trento (1545 - 1563). Il Nostro non deroga da quella via. Dotato di più benefici semplici, studiò con personaggi di primo piano, e diventa vicario generale della diocesi di Senlis, il re gli dà in commenda un’abbazia. Non ancora trentottenne, è vescovo di Elne nel 1788. Secondo uno studioso del clero di colà, egli non sarebbe stato adatto al compito, in quanto uomo di corte. Giura il 4 gennaio 1789, anno della rivoluzione. Fatto l’ingresso in diocesi, affronta una lunga diatriba fra diritti e privilegi della nobiltà. Rappresentante del clero agli Stati Generali, rifiuta: vuol sottoporsi alle regole, sarà eletto.
In diocesi, prima preoccupazione è ridurre le imposte al clero più povero. A Parigi, agli Stati Generali, rappresentativi dei tre ordini, convocato come istituzione consultiva per far fronte alla crisi finanziaria del regno, si riunisce col clero e chiede di continuare a votare per ordine, posizione retriva, la sua. All’ Assemblea costituente, chiede la parola dopo Mirabeau, che pronunciò un infiammato discorso contro le decime. Il Nostro parlò in contrario, colla motivazione che l’entrata era indispensabile per sovvenire i poveri. Rifiuta il giuramento alla costituzione civile del clero. Nel 1792, arrestato, evade. Da Campolongo, si rivolge al suo clero, perché accettasse la Costituzione, posizione dovuta a pratico realismo pastorale.
Secondo il biografo, sarebbe morto in odore di santità, ma l’atto di morte, a Campolongo, registra “solo” che “sancte decessit”, con funerali cui prese parte una moltitudine di clero. Sepolto nella tomba dei sacerdoti, il parroco Parmeggiani portò in mezzo alla chiesa la sua lapide, che ricorda impavida fede ed empietà della rivoluzione gallica. Una nota del Catapan (1907) ricorda che portò bellissimi paramenti sacri e reliquie di Santi. La nota racconta che abitava col Conte Saint Priest in casa Cantarutti. Testimonianze concordi lo vedono ospite dai co. Michieli nella loro villa.
Il Conte Carlo gli sopravvisse, era stato ciambellano del re. Fu sepolto nel cimitero parrocchiale. Il segretario del vescovo, Clemente Vanson, morì nel 1822. Il 1846, invece, fu l’anno del commiato della vedova del conte, Francesca Ganginiere (sodale dell’Arciduchessa d’Austria Marianna “Matrona piissima”), tormentata dall’avversione di “gente sediziosa e di una dura malattia”. Per lei, nei documenti campolonghesi parole di ammirazione per fortezza d’animo e pietà in sorte avversa.
Clemente Vanson morì a 79 anni. Possedeva qualche capitale, ma lasciò un patrimonio misero, doveva qualche affitto arretrato ai Michieli. Dall’inventario dei beni, si comprende che si era portato dalla Francia una decina di quadri, alcune statue di legno, e una piccola libreria, per creare un minimo di senso di casa propria. Il vestiario lasciato fu di estrema modestia. Si era inserito nella comunità e dava una mano al clero locale.
Dalla Biblioteca Nazionale di Francia, è emersa una stampa con il ritratto del vescovo, che lo descrive come persona raffinata ed elegante.
Così, con la Rivoluzione francese, Campolongo passò da Venezia all’Austria ed ebbe l’onore di ospitare un vescovo, per qualche tempo fra i vivi, poi, in eterno, nella sua chiesa.
In copertina lapide sepolcrale del vescovo francese nella parrocchiale di Campolongo, sotto portale di Palazzo Michieli a Campolongo.
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