LA 17ESIMA EDIZIONE
Ecco la nuova Agenda Storica Goriziana 2025, grata la memoria di monsignor Baldas e De Antoni
Un testo che supera le 300 pagine, dove 120 fogli sono dedicati al planning settimanale e i restanti costituiscono un corpo di sedici capitoli densi di storia, con la copertina realizzata dalla giovane Mateja Nikolic
Gorizia messaggera della «singolare missione» annunciata da Papa Wojtyla nel 1992, affinché resti «porta dell’Italia che pone in comunicazione il mondo latino con quello slavo», come ha sottolineato il compianto monsignor Giuseppe Baldas nel nuovo volume. È stata presentata nella serata di ieri, giovedì 5 dicembre, la preziosa Agenda Storica Goriziana 2025 nelle vesti della sua 17ma edizione. Un testo che supera le 300 pagine, dove 120 fogli sono dedicati al planning settimanale e i restanti costituiscono un corpo di sedici capitoli densi di storia, con la copertina realizzata dalla giovane Mateja Nikolic. «Baldas ha pensato allo spirito missionario della diocesi di Gorizia», ha riflettuto l’ideatore dell’Agenda Stellio Raida. Una ricerca dello spirito dell’identità culturale che riconduca al sentiero tracciato da Papa Giovanni Paolo II il 2 maggio del 1992, quando esortò i goriziani a recuperare lo spirito della propria identità culturale. Sollecitazione che secondo Raida allude a uno smarrimento o all’imminente rischio di perdere l’identità stessa.
«Se oggi abbiamo la fortuna di aver raggiunto il traguardo della 17ma edizione, il merito lo devo all’incontro con il vescovo Dino De Antoni – racconta Raida – Il quale quell’8 dicembre del 2008, in occasione della prima edizione, mi disse: “Quest’opera dev’essere portata avanti per una questione d’identità culturale”». A prendere la parola è stata poi Marina Bressan, che attraverso la storia dello Staatsgymnasium ha voluto rimarcare come «lo spirito sia insito in noi, in quanto la nostra città ha una grandissima identità da difendere». Il Ginnasio di Stato sorgeva in via delle Scuole - attuale via Mameli - nella splendida cornice di Palazzo Werdenberg. Mentre la bora faceva piovere contro le ampie vetrate le foglie ingiallite dall’autunno, sugli stessi banchi si studiavano “sudate carte” in italiano o sloveno, approfondendo Goethe con Dante, insieme a Preseren o Leopardi. In preda ai primi amori adolescenziali, fra quelle mura languivano o gioivano Ervino Pocar e il tenebroso Carlo Michelstaedter, così come il poeta gradese Biagio Marin, che in quelle «aule di un grigio perduto» incontra «ragazzini spauriti, consapevoli di ritrovarsi insieme».Un’aggregazione forzata che andava stemperandosi in naturale accettazione e reciproco rispetto della propria nazionalità. «Quello di Gorizia fu un caso anomalo – ribadisce Bressan – poiché la specificità delle due lingue obbligatorie consentiva la frequenza da parte di ragazzi italiani e sloveni». Un cosmopolitismo come plusvalenza culturale, rafforzata dalla lingua tedesca che contribuiva a una formazione di stampo europeo. Dove cultura classica e capacità aggregante della parola prevalevano sulle diversità linguistiche, fino a quel mesto1923, quando la soppressione della provincia di Gorizia deluse gli animi collettivi. E nonostante tutto, la libertà rimase uno dei capisaldi della cultura goriziana: per Marin intesa come libertà creativa, per Pocar tradotta in universalità culturale e per Michelstaedter interpretata nel non adattarsi. «Divennero mediatori della cultura dei vinti – ricorda Bressan – fungendo da ponte fra cultura austriaca e italiana. Tuttavia, non dobbiamo aver nostalgia del passato, ma essere consapevoli della ricchezza di diversità nell’unità». Un superamento dei conflitti in nome di una cultura che possa essere principio di liberazione, ha auspicato ancora, alludendo così al significato pieno del Go!2025.
«Prima del 1615 non c’erano scuole – osserva invece Mario Brancati, per approfondire l’organizzazione scolastica fino al 1915 – I figli dei nobili venivano educati privatamente». Fu grazie all’attività dei padri gesuiti che l’avventura scolastica goriziana ebbe inizio. Mentre l’anno 1632 segnò l’arrivo delle suore Orsoline, che fondarono la più antica scuola femminile per insegnare alle fanciulle a «leggere, scrivere e far di conto» e realizzare preziosi merletti al tombolo. «La svolta arriverà nel 1774, quando in Austria Maria Teresa introduce l’obbligo scolastico dai 6 ai 13 anni», specifica Brancati. Una scuola all’avanguardia già a fine Ottocento, quando d’inverno si pattinava sul ghiaccio e d’estate si giocava a tennis o si andava in bicicletta. Allo scoppio della Prima guerra mondiale Gorizia è il centro più importante del Litorale austriaco, ma già nel 1866 la Stiria lancia la proposta d’istituirvi un’università, grazie alla felice posizione fra Carinzia e Carniola. Un’iniziativa che nel 1924 naufraga in seguito alla decisione d’istituirla a Trieste, e che rappresentò per la nostra città «un’occasione mancata».
A delineare Gorizia come «provincia malleabile» è invece l’architetto Diego Kuzmin, che attraverso quattro dipinti situati presso l’AsCom della città – di autore ignoto – racconta i quattro punti salienti della provincia. È il 1848, e durante il periodo austroungarico il territorio conserva il nome di “Principesca Contea di Gorizia e Gradisca”. Un’area che racchiude 170 mila abitanti, spalmati su quasi 3mila chilometri quadrati ancora privi di ferrovia. Al termine della Prima guerra mondiale – nel 1921 – la provincia si estende dai monti al mare, racchiudendo nel suo scrigno Tarvisio, ma anche Tolmino, Idria, Postumia, e infine Grado e Cervignano. Un territorio imponente che conta 333mila abitanti distribuiti su 3869 chilometri quadrati. Anni floridi, fino allo scoccare del fatidico 18 gennaio 1923, quando con Regio decreto la provincia viene soppressa e l’area disintegrata fra Trieste, Istria e Friuli, al quale ultimo viene affidata Gorizia. Con l’otto settembre del 1943 la città verrà poi annessa al Litorale Adriatico, e a guerra conclusa «la provincia rimane un brandello».
Sul concetto di “identità” si sofferma invece lo storico Marco Cappelli, che la definisce «un’invenzione moderna», in quanto mentre la Storia ha 5mila anni da raccontare le nazioni sono molto più recenti ed esistono da meno di 300 anni. «L’identità non è né esclusiva né oggettiva né antica – riflette l’autore di “Per un pugno di barbari” e “Il miglior nemico di Roma” – L’identità correlata alla lingua è un concetto moderno, e si può cambiare». Individualità mutevoli in grado di trasformarsi nel giro di una sola generazione. E analizzando tre imperi - ottomano russo e austroungarico - spiega come siano andati in frantumi a causa delle ondate di nazionalismo. «Quando più identità convivono è impossibile tracciare una linea corretta – prosegue - Questa è stata la grande illusione dopo la Prima guerra mondiale, dimostrando come quando si scelga di tracciare una linea questa sia sempre sbagliata».
Di qui l’importanza di «riscoprire le identità» del nostro territorio, che Cappelli definisce «porto di mare» nell’accezione di “crocevia di popoli”. Una conoscenza reciproca che Raida auspica possa rappresentare trait d’union fra persone, piuttosto che linea di separazione. «Nove secoli di storia hanno dimostrato che questa faglia non ha dato luogo a sostanziali conflitti. La Prima guerra mondiale ha distrutto l’80% della città - provocando 600mila morti sul confine - Mentre attraverso la Seconda è passata quasi indenne. Mi auguro che il 2025 possa portare unità d’intenti», ha concluso.
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