Le donne straniere a scuola d'italiano, sognando un futuro nella loro Monfalcone

Le donne straniere a scuola d'italiano, sognando un futuro nella loro Monfalcone

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Le donne straniere a scuola d'italiano, sognando un futuro nella loro Monfalcone

Di Eliana Mogorovich • Pubblicato il 06 Ago 2024
Copertina per Le donne straniere a scuola d'italiano, sognando un futuro nella loro Monfalcone

Tante le richieste di corsi per imparare l'italiano, ora l'associazione Ami punta a fare arrivare a Monfalcone gli enti certificatori per far svolgere gli esami finali.

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Rosa, che si è laureata in marketing internazionale a Dhaka nel 2011, lo spiega molto chiaramente: «Sto aspettando di lavorare dal 2022. Ho aspettato per avere la certificazione A2, ma il 2022 è passato, il 2023 anche e il Cpia non mi chiama: non c’è posto». Nel video realizzato da Katia Bonaventura per l'associazione Ami (in fondo all'articolo), sono molte le giovani donne straniere che raccontano il loro desiderio di lavorare e di comunicare in una città in cui si trovano bene e si sentono accolte, nonostante la nostalgia delle famiglie lontane. Siamo a Monfalcone: strano forse leggerlo, viste le polemiche che quotidianamente la investono per azioni che vanno contro i principi di convivenza e di comprensione reciproca.

Ecco allora che la sincerità delle loro testimonianze è ancora più preziosa: raccontano parte del loro passato, il loro presente e le speranze per il futuro, il più delle volte impegnato da un lavoro che è però impossibile da ottenere senza la certificazione linguistica che solo un centro di formazione riconosciuto può rilasciare. Nel frattempo però Kahinur, Kadija, Rosa, Selina e Li si affidano all’Associazione Monfalcone Interetnica (Ami) e ai suoi insegnanti che, dal 2018, si impegnano volontariamente a far loro acquisire i rudimenti della lingua italiana in modo da permettere un primo approccio alla comunicazione, base imprescindibile di ogni conoscenza.

«Lo scopo principale dell’associazione dal momento della sua fondazione è stato quello di costruire dei ponti con gli immigrati per contribuire alla coesione sociale ed evitare le contrapposizioni che ci sono ancora ma non hanno ragione d’esistere visto che queste persone sono qui per fare dei lavori che gli italiani rifiutano» spiega il presidente del sodalizio, Arturo Bertoli. Per raggiungere questi obiettivi si è rivelato sin da subito prioritario il problema della comunicazione. «Ci siamo trovati di fronte alla situazione per cui non c’erano corsi di lingue a parte quelli dei Cpia che dipendono dal ministero ma hanno posti limitati e liste d’attesa anche di 500 persone».

«Noi abbiamo iniziato con le nostre lezioni grazie al contributo volontario di una decina di insegnanti inattivi o in pensione. Siamo partiti con i corsi A0 per chi è appena arrivato in Italia, poi A1 e A2 per chi ha già qualche competenza e abbiamo subito avuto molte adesioni: la nostra associazione è appunto interetnica e chi ne faceva parte ha subito diffuso la notizia di questa iniziativa». Sin dall’inizio, Ami ha organizzato corsi per donne al mattino (in modo da favorirle nella gestione dei figli, impegnati a loro volta a scuola) e per uomini dalle 18 in poi, seguenti la conclusione dell’orario di lavoro: diverse centinaia le adesioni già dal primo anno di attività, che non si è fermata nemmeno durante la pandemia grazie a percorsi semi-individuali.

Unico problema: l’impossibilità di ricevere una certificazione, indispensabile per poter conseguire la patente di guida e un lavoro. «Forse a breve riusciremo a risolvere questa situazione: gli enti certificatori, pochi quelli accreditati allo scopo, potrebbero spostarsi a Monfalcone proprio per il rilascio di questi documenti. Siamo ancora alla fase progettuale, ma speriamo di poter concretizzare questo obiettivo» spiega ancora Bertoli. Le attività dell’associazione si tengono nella sede di Carso in Corso (corso del Popolo 11) da poco più di un anno e qui, purtroppo, lo spazio non consente la presenza di un’area in cui le mamme possano portare i bambini durante la lezione, opportunità che era invece garantita dalla precedente sede grazie alla maggiore ampiezza e alla presenza di educatrici professionali volontarie.

Prosegue il presidente: «A frequentare i nostri corsi sono un centinaio di donne e circa sessanta uomini: i posti sono limitati ma abbiamo molte richieste che purtroppo non riusciamo a soddisfare per problemi di spazio e per la disponibilità degli insegnanti che a oggi sono circa una trentina e si gestiscono in modo che ci sia sempre uno o due maestri “leader” affiancati da altri docenti che collaborano seguendo i singoli allievi. Adesso la maggior parte degli alunni è bengalese, ma abbiamo avuto anche macedoni, marocchini e algerini. In genere i corsi vanno da metà settembre a giugno ma stiamo valutando se accorciare i tempi di frequenza: i corsi lunghi garantiscono un apprendimento migliore, ma abbreviandoli potremmo dispensare meno competenze accontentando però un maggior numero di persone».

I corsi di lingua italiana non sono l’unica attività di Ami che, negli anni, ha organizzato la biciclettata multietnica, un cineforum e il Natale multietnico, difficile da replicare per la mancata concessione di spazi. «Integrazione è una parola sbagliata: si tratta di un problema di condivisione. Bisogna condividere una città, capirsi e capire se e dove ci sono dei problemi» spiega Bertoli, che precisa: «Integrazione identifica una cosa che non si realizza mai. Lo dimostrano realtà come i Fogolar furlan: nel mondo, nelle città multietniche come Londra o New York, la popolazione non è diventata un “pastone” ma coesistono pacificamente varie comunità che si scambiano le competenze e ognuno è comunque fiero di essere newyorchese o londinese».

«Ci sono degli angoli da smussare - rimarca - ma non si possono capire e condividere discorsi secondo cui gli altri dovrebbero seguire le nostre tradizioni: che poi, a ben vedere, non si sa quali siano dato che Monfalcone, oggi, è quella che è perché frutto di migrazioni successive». Nel video già citato, le donne raccontano con il sorriso la loro esperienza nella città dei cantieri, ma è proprio così? «Sono persone arrivate in età già adulta, che hanno vissuto la loro vita in culture diverse dalla nostra ma le cose fondamentali sono le stesse: siamo tutti felici o tristi per le medesime ragioni».

È in questo contesto, allora, che l’insegnamento della lingua rivendica la propria importanza. Quindi la stoccata all'amministrazione comunale: «In otto anni di governo, questa amministrazione non ha mai messo in piedi un corso di italiano con la scusa, manifestata in diverse dichiarazioni apparse sui social, che li avrebbe voluti organizzare ma gli uomini non avrebbero permesso alle donne di frequentarli. Non è affatto così – conclude Bertoli – perché in questo tempo abbiamo visto quanto le persone tengano a imparare la lingua e quante vorrebbero farlo». Nel frattempo, dopo la pausa estiva si ritornerà in "aula" per riprendere le lezioni.

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