L di lenassi
Cuore della solidarietà in città, il Lenassi di Gorizia tolse i ragazzi dalla strada
Antica istituzione della città, ha offerto riparo e istruzione per migliaia di ragazzi. La storia del centro e dei suoi ospiti.
L’avvocato Carlo Doliac de Cipriani, podestà di Gorizia, eletto dal Consiglio Comunale, incaricò una Commissione che elaborasse uno statuto per l’erezione di un’istituzione che avesse lo scopo di raccogliere fanciulli abbandonati e traviati. L’idea era già venuta al direttore scolastico Giuseppe Vogrig ed era stata patrocinata più tardi da Carlo Favetti sul suo “Giornale di Gorizia”, fondato nel 1850.
Lo statuto venne ultimato nel febbraio del 1853 e fu approvato prima dal Consiglio Comunale e poi dalla Commissione di beneficenza i cui membri erano monsignor Agostino Codelli, l’avvocato Alessandro de Claricini, lo storiografo Giuseppe della Bona e lo stesso podestà Carlo Doliac, fondatore del Circolo Cattolico Goriziano. Il 24 agosto del 1853 venne aperto nella casa n° 336 di Cocevia un ricovero denominato “Istituto per fanciulli traviati ed abbandonati”. Alla direzione era stato chiamato il fiumano don Antonio Sessich (1817 – 1906) e, come consultori, il consigliere comunale Francesco Marzini e il fondatore cav. Ettore de Ritter, sostituto Francesco Fabriotti. Si chiamavano fondatori i cittadini che avevano elargito per l’istituto una somma pari o superiore ai 500 fiorini.
Nell’opera celebrativa del centenario dalla fondazione “1853 – 1953 Cento anni di vita dell’Istituto “Oddone Lenassi” di Gorizia”, Tipografia Sociale di Gorizia, 1953, pp. 12 – 13, si legge: “Così in Cocevia ebbe inizio la vita dell’Istituto che ospitava in quel primo anno dodici ragazzi e fino a sessanta nei quattro anni successivi. La prima iniziativa, però, della fondazione di un istituto per fanciulli abbandonati appartenenti a Gorizia risaliva alla metà del Settecento per opera del marchese Francesco Felz Alvarez de Mannesse. Questo munifico gentiluomo, appartenente ad una delle più illustri famiglie spagnole, essendosi fatto goriziano di adozione, pensò di onorare la città che gli era tanto cara istituendo un’opera civica altamente morale e profondamente umana.
Con le disposizioni testamentarie del 14 gennaio e del 6 settembre 1753, egli dispose che tutta la sua sostanza, oltre centomila fiorini – somma enorme per quei tempi – fosse devoluta a favore dei più poveri orfani goriziani, per i quali doveva essere costruito un apposito edificio in cui i piccoli reietti dovevano essere ospitati, nutriti, educati ed avviati a quel mestiere per il quale si sentivano più predisposti. Egli stesso disegnò i piani della casa – l’attuale ospedale Fatebenefratelli – e vi pose la prima pietra”. L’opera che egli aveva ideato non ebbe conclusione a causa dell’improvvisa more del marchese. I lavori vennero ripresi anni più tardi e l’istituto per fanciulli venne aperto il 15 febbraio 1758, vi entrarono 20 fanciulli che erano stati ospitati in case private. La struttura venne benedetta dall’arcivescovo Carlo Michele conte d’Attems, alla presenza del Rettore Urbano Francesco de Gironcoli.
L’istituto rischiò la soppressione e all’assorbimento nell’Istituto “Maria Teresa” di Klagenfurt. Il Capitano circolare di Gorizia Francesco Lamberg si oppose e la fondazione “Alvarez” rimase in città. Con la nuova normativa del 1777 che prevedeva l’incorporazione di tutti gli enti di beneficienza in uno solo, nell’istituto goriziano confluirono pertanto i poveri fanciulli, nonché gli infermi e gli anziani dei piccoli ospedali di Gorizia, Gradisca, Cormòns e Aquileia. In questo modo il progetto del marchese Alvarez venne completamente stravolto.
Quando l’avvocato Doliac nel 1850 giunse alla definizione di un nuovo istituo tutta la città di Gorizia si mise all’opera raccogliendo fondi: la Guardia Nazionale offrì 1400 fiorini, la Comunità israelitica donò 300 fiorini e altri 551 furono raccolti dalla prima tombola indetta dal podestà in favore dell’erigendo istituto. Tra il 1853 e il 1857 furono ospitati 60 fanciulli dei quali 24 orfani e 36 abbandonati, 56 divennero artigiani, 44 analfabeti impararono a leggere e a scrivere, 33 fecero la prima comunione nell’istituto, due soltanto ripresero la strada del vagabondaggio. Nell’opera “1853 – 1953 Cento anni di vita dell’Istituto 'Oddone Lenassi' di Gorizia”, Tipografia Sociale di Gorizia, 1953, pag. 14, si coglie che “scopo fondamentale dell’Istituto era quello di fare degli allievi dei provetti artigiani. Tuttavia, anche l’istituzione non veniva trascurata, anzi, per quei tempi era piuttosto elevata, comprendendo oltra la lettura, la scrittura, l’aritmetica, anche il disegno, il canto e nozioni di cultura generale. Questa istruzione veniva impartita nella scuola serale e domenicale.
I ragazzi ricevevano la colazione e la cena dall’Istituto e il pranzo dal maestro artigiano presso il quale imparavano il mestiere. Appena cominciavano a guadagnare qualche cosa, la Direzione s’incaricava di mettere da parte il denaro in modo che uscendo dall’Istituto, avessero una piccola risorsa per affrontare da soli onestamente la vita”. La casa di Cocevia era diventa troppo piccola per tutti i fanciulli presenti e il 12 aprile 1856, con l’aiuto di alcuni notabili benefattori (il principe arcivescovo Francesco Saverio Luschin, il principe arcivescovo Andreas Gollmayer, il barone Francesco Buffa, Ettore de Ritter, il conte Michele Coronini, Elena Norsa – Ascoli e il cavaliere Guglielmo Ritter), il Municipio acquistò per diecimila fiorini la casa n° 84 in contrada dei Macelli (oggi via Morelli) situata sull’area attualmente sorge la via del Contavalle.
L’istituto fu visitato il 9 marzo 1857 dall’imperatore Francesco Giuseppe accompagnato dalla consorte Elisabetta. Nel compendio celebrativo si legge a pagina 15: “Il modo con cui era retto ed i risultati che dava, stupirono la coppia imperiale che elargì una vistosa somma di denaro ed espresse al Municipio i più alti elogi mentre il direttore fu insignito della Croce d’oro al merito. Don Antonio Sessich lasciò la direzione dell’Istituto lo stesso anno fino al novembre dell’anno successivo lo sostituì don Vincenzo Rubbia a cui subentrò don Antonio Cumar, catechista delle scuole”.
L’Istituto contava quaranta allievi che venivano assunti dai maestri artigiani di Gorizia, (op. cit. pag. 15): “ogni anno verrà dalla Direzione assegnata un premio a quei tre maestri artigiani dei quali consterà che alla loro speciale cura è dovuto il ravvedimento del fanciullo lo affidato. Il premio consisterà in fiorini 25, che sarà accompagnato da un decreto di elogio”. In questo modo l’istituto si fece un nome anche a fuori della città di Gorizia, (op. cit. pag. 15): “sicché da diverse parti piovevano le domande di ammissione anche da genitori non poveri, ma che non sapevano più che pesci pigliare con il loro ragazzi refrattari all’educazione familiare. L’Istituto pur essendo stato fondato, in linea di massima, solo per fanciulli nati a Gorizia, accettava, in certi casi, anche quelli nati in altri comuni, mediante il versamento di una piccola retta. Tutti erano trattati ugualmente”.
Nel 1861 cessò la Reggenza Circolare e fu costituita la provincia di Gorizia con a capo il capitano provinciale, conte Guglielmo Pace, il quale, come primo atto assegnò 660 fiorini all’Istituto, rientrando tra i fondatori insieme al conte Giacomo Mels – Colloredo, eletto in quell’anno, che offrì 800 fiorini. Uno dei maggiori benefattori dell’istituto fu il principe arcivescovo Andreas Gollmayer il quale si prodigò per l’assistenza morale non trascurando l’aiuto materiale.
Il 16 maggio 1872, il Consiglio comunale deliberò di vendere alla banca Triestina lo stabile dell’Istituto per 25.000 fiorini e i acquistare per i fanciulli una casa più spaziosa, cioè quella di via Vogel (Baiamoni) n° 26. Era podestà il nobile Alessandro de Claricini, anch’egli benefattore dell’Istituto. Gli allievi aumentavano di numero fino al raggiungimento delle cento unità. Nel 1875 lo statuto venne modificato per iniziativa di don Antonio Cumar, sotto la podesteria di Carlo Perinello, e il nome dell’istituto divenne “Civico Istituto per Fanciulli Abbandonai”. Nel 1876 morì don Antonio Cumar e venne nominato nuovo direttore Augusto Zurman, coadiuvato da Carlo Felice Favetti. Si evince dal compendio a pag. 17: “grande importanza veniva data all’educazione fisica, all’igiene e all’assistenza sanitaria: i protofisici G. Bressan, R. Luzzatto e G. Bramo curavano gratuitamente gli allievi e la farmacia Kürner forniva loro pure gratuitamente i medicinali. I ragazzi venivano su robusti e sani nel corpo e nello spirito ed era tradizione che essi che essi fossero tenuti a Cresima dai cittadini goriziani in vista”.
Il 15 dicembre 1878 la sede dell’Istituto venne spostata in via Rabatta n° 11 in un “edificio spazioso, sano, ben disposto e provveduto di speciale cortile e dell’annesso orto”. Nel 1881 in occasione delle nozze del principe Rodolfo, erede al trono, i baroni Eugenio e Oscar de Ritter, la contessa Melania La Tour ed Olga Collioud, devolsero a favore dell’Istituto 1000 fiorini, a condizione che questa somma fosse investita pupillarmente a favore di quell’allievo che uscendo a diciotto anni fosse stato ritenuto più meritevole. In questi anni il numero di domande superava il numero di posti a disposizione e pertanto la direzione dispose che i ragazzi fossero collocati presso delle famiglie private, con non pochi problemi legati a una molteplicità di fattori anche caratteriali.
Nel 1887, dopo le dimissione del direttore Zurmann, venne nominato un nuovo direttore nella persona di don Francesco Castelliz, professore del seminario. Questo sacerdote avendo una grande competenza e passione musicale propose l’istituzione di una fanfara, l’idea venne realizzata otto anni più tardi. Dal 1889 al 1896 si succedettero vari direttori: don Iacopo Tomadini, don Giovanni Battista Nanut e il signor Giuseppe Lièvre. La Commissione proposta all’Istituto in quest’epoca ebbe campo di esercitare un’attività straordinaria per merito specialmente del professore Luigi Kurschen, consigliere comunale.
Nel 1895, per evitare il continuo susseguirsi di direttori, venne bandito un concorso pubblico. Venne vinto dal maestro Gracco de Bassa di antica e nobile famiglia patrizia goriziana che aveva conseguito il diploma all’Istituto Magistrale di Capodistria. Nello stesso anno venne riformato lo statuto e reso idoneo al cambio dei tempi e al nuovo sviluppo assunto dall’Istituto. Il Consiglio Comunale approvò il nuovo statuto nella seduta del 5 dicembre 1895; questa novità portò delle modifiche sostanziali anche alla struttura educativa dell’Istituto.
La fanfara, nata proprio nel 1895, era guidata dal maestro Pietro Ortali capo-fanfara del Civico Corpo dei Pompieri che istruiva gratuitamente gli allievi. La città era molto legata all’Istituto molti patrizi e gentiluomini donavano cospicue somme di denaro per il mantenimento dei ragazzi, come Giovanni Battista Formica o lo stesso podestà, dottor Carlo Venuti, che in memoria del figlio Italo, il 24 ottobre 1902 istituì una fondazione di 300 fiorini per un ragazzo meritevole. La famiglia Ritter in molti anni di donazioni lasciò all’istituto l’ingente somma di 35.464 fiorini, come da bilancio dell’ente.
Il 23 agosto 1903 venne celebrato il 50° anniversario dalla fondazione e anche in questa occasione le famiglie goriziane si adoperarono per non far mancare il necessario all’Istituto. Con la prima guerra mondiale la situazione precipitò, il 25 novembre 1915 un’intera ala del fabbricato venne colpita da numerosi obici che provocarono quattro morti e tre feriti. La mattina presto i 56 ragazzi superstiti vennero inviati all’accampamento di Wagna presso Leibnitz, dove furono alloggiai nella baracca n° 89. Anche il direttore venne inviato al campo anche per i sentimenti troppo italiani. Scrivono le cronache: “per disposizione superiore era stato deciso che la nuova divisa di questi doveva avere un carattere più austriaco imitante quella militare tirolese, cioè gli Alpenjäger. Ma i ragazzi, affezionati, anzi orgogliosi della vecchia divisa civica di pretta foggia italiana si ribellarono. Conseguenze: espulsioni o dimissioni spontanee da parte dei più grandi”. I ragazzi rimasero nel campo fino al 18 novembre 1918 quando fecero ritorno a Gorizia nella sede di via dei Rabatta.
Nel 1920 lo statuto venne nuovamente rinnovato, il direttor Gracco de Bassa che aveva guidato l’Istituto per 24 anni si dimise. Il suo posto venne preso da Valerio Silvestri al quale dal 1922 successe il direttore Angelo Fabris di Terzo d’Aquileia, maestro di ruolo. Fin dal 1919 era stato chiamato a presiedere il Consiglio di Sorveglianza il giovane prof. Mario Corsini, che fin da subito si adoperò assieme al restante corpo docenti di alleviare le piaghe inferte dal primo conflitto mondiale ai giovani e giovanissimi presenti nell’Istituto: orfani, figli di prigionieri e dispersi furono accolti e curati nella struttura con grande attenzione ed avviati verso una vita maggiormente dignitosa. Negli anni del fascismo il professor Corsini e tutto il Consiglio di sorveglianza vennero rimossi e l’Istituto passò sotto il controllo diretto dei vari Podestà che si succedettero, in questo modo l’ente di soccorso dei giovani abbandonati poté continuare la sua attività solamente all’aiuto dei cittadini goriziani che si dimostrarono sempre molto generosi.
Come ricorda la giornalista Jolanda Pisani “Cassandra” nell’introduzione all’opera monografica “Istituto Oddone Lenassi 1967 nel 40° della scomparsa di un grande benefattore” Tipografia Sociale, Gorizia, 1967 (pp. 11 – 15): “Quando nel pomeriggio del 30 gennaio 1927 si diffuse la triste notizia della more di Oddone Lenassi, ricco ed illustre industriale a riposo e figura di primo piano nella vita cittadina, la gente disse: Se n’è andato un grande benefattore. Ma quando il 22 febbraio successivo, il giornale locale la Voce di Gorizia – diretto dal giovanissimo giornalista Sofronio Pocarini – riportò un lungo articolo in cui elogiava la bontà generosa del cittadino scomparso, perché nella sua disposizione testamentaria lasciava erede universale di tutti i suoi beni immobili il Civico Collegio Fanciulli abbandonati, i lettori esclamarono: Questo atto, ultimo di tante nobili manifestazioni, pone Oddone Lenassi nella eletta schiera dei più illustri cittadini di Gorizia. Una clausola del testamento stabiliva che venisse eliminata la denominazione “Fanciulli Abbandonati”: finezza d’animo e delicato paterno modo fi beneficare i bambini meno fortunati senza ferire la loro dignità di futuri cittadini. Ed è questo che stupisce, in un donatore che apparentemente sembrava avere un carattere chiuso, a volte anche un po’ ruvido di modi, amante del lavoro, della caccia e dei soggiorni estivi a Salcano e di quelli invernali a Montecarlo. […]”.
Il lascito era ingente e il Comune, con delibera di accettazione, decretava che il nome del suo massimo benefattore venisse per sempre legato all’istituzione che da quel momento mutava nuovamente denominazione da “Civico Istituto per Fanciulli Abbandonati” a “Istutto Oddone Lenassi”. Nello stesso anno l’edificio di via Rabatta, ormai pericolante, venne abbandonato e i fanciulli furono sistemati in via Santa Chiara in un ambiente più dignitoso ma senza i requisiti minimi per ospitare una comunità di ragazzi. Con il grande lascito di Oddone Lenassi si decise pertanto il trasferimento nella nuova sede che diverrà definitiva fino ai giorni nostri. Nel 1931 l’Istituto si trasferì quindi in via Vittorio Veneto in un sede degna della sua funzione, in una sorta di isola verde in mezzo alla città con parco, orto, giardino e spazi ampi e comodi.
La seconda guerra mondiale ebbe ripercussioni nell’ambiente dell’Istituto, infatti nel marzo 1944, su ordine del Comando militare, nell’edificio prendeva stanza un gruppo di avieri, provocando il trasferimento degli allievi scolari all’Istituto “Duca d’Aosta” a Gradisca, mentre in sede restava un gruppo ristretto di apprendisti sistemati in modo provvisorio nelle stanze rimaste libere della soffitta. Il direttore Angelo Fabris assunse la direzione dell’Istituto “Duca d’Aosta” e il vice direttore Alfonso Ponton rimase a Gorizia con gli apprendisti. Al posto degli avieri, in quell’anno, entrò nell’Istituto di via Vittorio Veneto il Reparto Maternità e gli uffici amministrativi dell’Ospedale Civile di Gorizia. Nel 1947, a guerra ormai finita, entrambi questi reparti furono trasferiti definitivamente nella sede del nosocomio locale; nello stesso gli allievi rientrarono nella palazzo e il prof. Corsini riprese il suo ruolo di presidenza del Consiglio di sorveglianza. Nel 1948 gli succederà l’ing. Francesco Fogar anch’egli rimasto alla presidenza solamente fino al 1949.
Con le nuove elezioni amministrative, il Consiglio di sorveglianza venne riformato e a capo venne nominato l’assessore alla pubblica istruzione il prof. Mario Di Gianantonio che rimase in attività per un quinquennio tra il 1949 e il 1953. In questi anni l’attività fu finalizzata al risanamento della struttura post guerra e alla graduale trasformazione degli ambienti e dei criteri educativi che reggevano l’istituzione. Grande ausilio ebbe l’intervento del giovane ma preparato Sindaco dott. Ferruccio Bernardis, esperto dei problemi dell’educazione giovanile. Curate in modo importante erano le attività parascolastiche come lo studio della musica, sia strumentale che del canto corale, sempre nel tentativo di valorizzare i talenti in vista di una formazione completa finalizzata a una professione stabile. L’assistenza spirituale era guidata dai padri cappuccini e il medico comunale si occupava della saluta dei ragazzi ospitati. Non mancavano i campi estivi, i ragazzi trascorrevano anche due mesi nei paesi della Carnia e la spesa veniva coperta dalla pesca gastronomica durante la fiera di Sant’Andrea, nonché dalle generose oblazioni rilasciate da numerosi privati, associazioni ed enti pubblici e privati.
Nella pubblicazione celebrativa dedicata ai 40 anni dalla morte di Oddone Lenassi si legge a pagina 19: “C’è nel parco un pino che è quasi un simbolo: vigoroso, altissimo domina tutta la sottostante ricca vegetazione. Il nespolo giapponese, palme, cedri, persino un ulivo, agavi, lecci, aceri, magnolie… sono solo alcuni nomi di una flora, con ciliegi dell’orto, ogni angolo del parco dà il suo contributo di colori vivaci. Dall’alto del grattacielo di via Veneto si notano appena le chiazze di colore verde intenso e quando, dopo lo studio, i ragazzi sciamano per i viali i prati, allora tutto è un quadro vivo, bellissimo, e di lassù si può anche avere l’idea giusta delle cose belle, delle cose buone”.
Ancora qualcosa di questo racconto così vivido di Jolanda Pisani “Cassandra” rimane ancora oggi: il grande Istituto “Oddone Lenassi”, in modo diverso, è sempre rimasto luogo di e per la gioventù, con fini e metodologie differenti è ancora uno spazio di crescita, formazione, incontro, e confronto, dove il nome del fondatore ci rimanda a un’epoca antica, esaltante e generosa.
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