la partecipazione
La cucina Fvg protagonista al Salone del gusto, così il Carso conquista Torino
Al Salone del Gusto di Torino, i presìdi regionali hanno promosso prodotti tipici attraverso Slow Food. E hanno attratto anche l'Arabia Saudita.
Le mani callose sminuzzano il lardo insieme ai ritagli d’insaccati. I lumi si accendono uno ad uno, nel piccolo borgo di Timau di mille anni addietro: quando iniziano le prime gelate ci si spalma sul pane la “varhackara”, un pesto di salumi talvolta scaldati in padella sulla spargher – la cucina a legna ancora in uso nella nostra regione - Antiche tradizioni che rivivono grazie alla Fondazione Slow food, onlus nata a Firenze nel 2003 per tutelare la biodiversità alimentare di tutto il mondo. Ad aderire alla fondazione anche il Friuli Venezia Giulia, e molti sono stati i presìdi che hanno preso parte alla manifestazione “Terra madre”. L’ultima edizione del Salone del Gusto di Torino si è conclusa ieri, organizzata da Slow food.
«È un evento utile a valorizzare presìdi, ma anche aziende che ne sono sprovviste – spiega Sara Devetak dell’azienda agricola Kmetija di San Michele del Carso – Le quali lavorano in sinergia con la natura per produrre un cibo buono, pulito e giusto». Uno dei fondatori del Salone del Gusto è il giornalista Carlo Petrini, ideatore della stessa Slow food: si occupa della salvaguardia della cultura e delle tradizioni culinarie con l’obiettivo di preservare clima e ambiente. «Siamo andati al Salone con il nostro nuovo presidio “miele di marasca del Carso”, ottenuto dopo anni di attesa», racconta con orgoglio.
«Eravamo lì con la Regione Friuli Venezia Giulia, che ci ha offerto di partecipare». Dal presidio per la varhackara a quello per la pitina - una base di carne affumicata di capriolo, pecora o capra lasciata stagionare o servita con la polenta - che rischiava di scomparire e oggi viene apprezzata anche fuori dal mercato locale. «Siamo andati in diverse aziende, ma soprattutto eravamo tanti presìdi. Per esempio quello della cipolla rossa di Cavasso e della Val Cosa, del cavolo cappuccio di Collina, del radìc di mont o del nostro miele di marasca del Carso».
Aromi e usanze che possono ancora tramandarsi per generazioni, come il radic di mont, raccolto dai malgari quando la neve si ritira dagli alpeggi e tagliato con il coltellino senza estirparne la radice. O come il cavolo cappuccio di montagna coltivato nel comune di Forni Avoltri, e la “pestith”, per secoli il tradizionale pasto invernale degli abitanti della Val Cellina e Val Vajont. «Poi c’era un presidio per la zuppa della valli del Natisone, la pitina del pordenonese e la pecora carsolina dell’azienda agricola Antonic di Cerovlje, che è diventata presidio nel 2022 insieme al miele di marasca». Una razza ovina allevata sulla landa carsica e nota come “pecora istriana”, dalla quale vengono prodotti ricotte e pecorini al sentore di pascolo.
E poi c’è il presidio del “pan di sorc” caratteristico di Gemona, pane dolce e speziato a base di mais cinquantino, segale e frumento mescolati con fichi secchi, uvetta e talvolta semi di finocchio. Secondo l’usanza veniva cotto nei forni comuni di paese o presso le famiglie abbienti: una parte veniva ceduta ai proprietari dei forni, quella restante si destinava alle feste, o donata ai bambini. Nulla si gettava via, perché la pagnotta secca veniva inzuppata nel latte o mescolata al crafut. Tradizioni che scandivano il passaggio delle stagioni e al contempo infondevano valore alle piccole cose, che grazie a Slow food è possibile recuperare.
A confluire a Torino sono stati i referenti di 120 Paesi. Al Salone del gusto provenivano anche dall’Arabia Saudita, nella cui delegazione c'erano anche amici di Enrico Maria Milič. Autore del libro “La locanda ai margini d’Europa” pubblicato lo scorso anno, Milič ha dedicato un intero volume alla locanda Devetak. Un luogo magico saturo di «vapore di sedano e prosciutto» dove è possibile assaporare il tipico miele, prodotto da una varietà di ciliegio che fiorisce solo per una decina di giorni nei pressi del mare. Lui lavora in Arabia Saudita per un progetto Slow food, e ha stretto amicizia con i rappresentanti locali della stessa organizzazione, raccontando della famiglia di San Michele e del Carso.
Durante i cinque giorni a Torino era presente lo stesso Milič, impegnato come mediatore nei laboratori che si sono svolti il primo giorno, tenuti dall’azienda Antonic e Devetak. «Enrico ci tiene a queste terre e ai nostri prodotti», legato a questa terra in quanto triestino con sentite radici carsoline. Un altopiano sul quale l’azienda di Antonic alleva pecore autoctone, producendo formaggi, salumi e ragù di carne. «È l’unico che ha pecore su in Carso – rimarca – Ed è l’unico che in Friuli Venezia Giulia ha il presidio della pecora carsolina».
«Per avere il presidio è necessario essere residenti nello stesso luogo. Sono ricette o cibi quasi dimenticati. Per esempio, il fagiolo di San Quirino dell’Azienda Arnese e Rossi è quello autoctono di San Quirino. Il miele di marasca del Carso viene invece prodotto solo qui, dal nettare dei fiori di ciliegio canino che si ritrova in queste zone. Con Slow food e la nostra regione abbiamo avuto modo di presentare il territorio e i nostri prodotti, partecipando con la melata di San Michele e il miele di castagno di Mersino».
Dal Carso alle zone fiabesche del Matajur, protagoniste e alleate dell’uomo sono le preziose api, che svolgono anche una funzione strategica per la conservazione della flora. «Aggiungo che è stata un’esperienza stupenda, grazie alla quale abbiamo potuto conoscere tantissime persone, stringendo rapporti con apicoltori della Macedonia, ma anche della California e del Canada». Un’avventura straordinaria attraverso cui le piccole aziende possono promuovere un modello di agricoltura in equilibrio con gli ecosistemi, per la sovranità alimentare dei popoli.
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