Il Covid ha messo in discussione la percezione della morte

Il Covid ha messo in discussione la percezione della morte

Dalla cultura alla fede

Il Covid ha messo in discussione la percezione della morte

Di don Renzo Boscarol • Pubblicato il 26 Dic 2020
Copertina per Il Covid ha messo in discussione la percezione della morte

Ci scrive il parroco di San Lorenzo a Ronchi dei Legionari, don Renzo Boscarol, interrogandosi sul significato della morte in tempo di pandemia.

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In tempo di pandemia, l’impossibilità di un segno umano e anche religioso di accompagnamento al morire è stata percepita come una delle ferite più profonde alla dignità della vita, e questo anche da chi non è credente, e forse troppo poco dalle Chiese che si sono adeguate alle indicazioni dei protocolli, senza evidenziare la ferita che questo comportava nel cuore di chi stava vivendo il dramma della morte di una persona cara. Nel concreto poi, molti preti si sono attivati in tanti modi e molti credenti – infermieri e personale sanitario – hanno vissuto vicinanze straordinarie con chi affrontava la morte e con i familiari coinvolti.

Merita invece una sottolineatura un altro aspetto. Il tempo che viviamo dimostra che veniamo da una cultura che ha rimosso da tempo il tema della morte. Lo ha fatto rimuovendolo anzitutto dalla casa: il morire è un evento da tempo ospedalizzato, affidato a “esperti” (?) che se ne occupano in tutte le sue fasi. Questo toglie, a chi vive il morire di una persona cara, la responsabilità ma anche le parole e i gesti che permetterebbero di elaborare il momento della morte e del lutto.

La morte –e questo va sottolineato- ha perso ogni rilevanza pubblica: la comunità civile non vi partecipa (salvo rari casi), perché la morte è una questione privata. Si moltiplicano fra di noi gli episodi nei quali, anche di famiglie religiose, che alla ditta funebre o al prete dichiarano: “Ci basta una benedizione. Nessun funerale; in cimitero o all’impianto di incenerimento. Ci basta così, grazie”. Qualcuno aggiunge, per salvarsi l’anima, che il defunto sarebbe contento così. Tutto, è evidente, ricondotto ad un momento privato ed individuale. Ormai non tutte le famiglie segnalano la morte di un loro caro con un manifesto: tutto in silenzio e, al massimo, qualche messaggio social …quasi fosse un avviso qualsiasi.

Il Covid-19 ha rimesso in primo piano l’evidenza della morte, ma in un modo del tutto nuovo. I morti erano e sono anzitutto dei numeri; interessano perché, se crescono, cresce la paura di un contagio (e dunque anche della possibilità di morire); se diminuiscono, possiamo tornare alla spensieratezza irresponsabile di prima, come se la morte non esistesse. In secondo luogo, è mancata la narrazione della singolarità del morire; e quando c’è stata qualche narrazione era intrisa di questo sentimento recriminante: di chi è la colpa? Perché la morte è sempre un errore. Nel sistema culturale che presume un controllo totale della vita, la morte irrompe come una guastafeste, come un errore che chiede un colpevole.

Non basta. Un ulteriore aspetto che ha segnato la percezione della morte nella pandemia è la solitudine del morire. In realtà, sempre si muore da soli. Oltretutto, la rimozione della morte dal tessuto familiare ha amplificato questa solitudine e il senso di colpa di non esserci, di “non arrivare in tempo”, di perdere il momento ultimo … perché si sente che proprio lì dovremmo esserci, perché sia possibile vivere una vicinanza anche nella distanza. Poi i funerali –anche per questioni diverse (orario solo mattutino, lavoro, distanze, imposizioni sanitarie) sono poco o niente frequentati.

Tutte tematiche che attendono una risposta che deve venire dalla cultura; la stessa chiesa deve sentirsi interpellata a livello di contenuti e di linguaggio. La cultura, e il senso di comunità non meno, sono chiamate a fare la loro parte. La poesia e la letteratura, per non parlare della musica e dell’arte, sono piene di risposte al tema della vita, della morte, della solitudine, del senso e del non senso e di noi. Ne va di mezzo il grado della nostra presente e futura civiltà senza aggettivi, solo e semplicemente umana. Vogliamo pensarci tutti insieme? 

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