Cosa fare in casi di emergenza, le basi di soccorso con 80 ragazzi a Gorizia

Cosa fare in casi di emergenza, le basi di soccorso con 80 ragazzi a Gorizia

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Cosa fare in casi di emergenza, le basi di soccorso con 80 ragazzi a Gorizia

Di Daniele Tibaldi • Pubblicato il 06 Apr 2024
Copertina per Cosa fare in casi di emergenza, le basi di soccorso con 80 ragazzi a Gorizia

La Società italiana degli infermieri di emergenza ha organizzato una campagna formativa, coinvolgendo gli studenti del Cossar-Da Vinci.

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In qualsiasi momento può capitare di trovarci in una situazione d’emergenza. Un boccone andato di traverso sta soffocando l’avventore di un ristorante, un passante si accascia per un malore oppure una persona per strada, a seguito di un incidente, sta perdendo molto sangue. Sapere come intervenire in questi casi, con le opportune tecniche di primo soccorso, può spesso significare la vita o la morte di una persona.

Proprio per sensibilizzare i più giovani su questo tema, la Società italiana degli infermieri di emergenza (Siiet) ha organizzato una campagna formativa nelle scuole di tutta Italia e, tra le ultime ad averne beneficiato, c’è anche l’istituto professionale “Cossar-da Vinci” di Gorizia. Proprio qui, infatti, nelle scorse settimane gli infermieri Manuel Cleva, Andrian Manila, Jessica Santagata, Michele Maritan, Federico Vargoiu, Andrea D’Osualdo e l’operatore tecnico Danilo Cincopan hanno svolto un ciclo di lezioni che ha coinvolto 83 studenti delle classi quinte.

Durante il corso – al termine del quale i ragazzi hanno ottenuto la certificazione internazionale “Stop the Bleed” dell’American College of Surgeons – sono state impartite lezioni su procedure di emergenza come la rianimazione cardiopolmonare, il trattamento dell'ostruzione delle vie aeree da corpo estraneo e il trattamento delle emorragie massive. Con gli alunni si è anche parlato della chiamata di emergenza sanitaria e di come sia strutturato il sistema di emergenza sanitaria nel Friuli Venezia Giulia.

Le percentuali di sopravvivenza
«Stiamo cercando di formare il più possibile le persone sul territorio», spiega Cleva, delegato Siiet di Area 2, con competenza su tutto il Nord Est. Le ragioni sono evidenti: «Per quanto riguarda gli arresti cardiaci, se in contesto intraospedaliero la percentuale di sopravvivenza può superare anche il 50%, questa, fuori dalle strutture sanitarie, crolla al 20%, tenendo in considerazione solo i casi cosiddetti “testimoniati”, cioè avvenuti in presenza di altre persone». Questi dati aiutano, quindi, a capire l’importanza che può avere il cittadino comune, nel ruolo di “soccorritore laico”.

Spiega sempre Cleva: «In molti casi, le persone non sanno neanche riconoscere casi di arresto cardiaco, oppure sono convinte che non fare niente, in attesa dell’arrivo di un’ambulanza, sia la cosa migliore quando non si sa cosa fare. Sbagliato. Persino un massaggio cardiaco fatto senza un’adeguata formazione può arrecare benefici. Si consideri che a ogni minuto di arresto cardiaco, se nessuno interviene, si innesca un 10-12% di danno irreversibile al cervello. Al decimo minuto senza manovre rianimatorie abbiamo un cervello irrecuperabile: qualora il cuore dovesse ripartire, la persona sopravvivrebbe in stato vegetativo».

Gli infermieri nella Sanità pubblica
Ma la formazione del personale “laico” non basta. «In Asugi ci sono dimissioni costanti di personale infermieristico, a cadenza settimanale». È questa la desolante fotografia scattata dall’esponente Siiet nell’area giuliano-isontina: un’emorragia costante dovuta al fatto che «la Sanità pubblica è resa poco attrattiva da condizioni di lavoro sfavorevoli, turni massacranti e una scarsa valorizzazione della professione e delle specializzazioni post-laurea degli infermieri».

Il tutto a fronte di una contrattazione nazionale insoddisfacente: «La nostra categoria andrebbe valorizzata con una maggiore autonomia contrattuale, che la renda più competitiva anche rispetto agli altri Paesi europei». L’emorragia di infermieri, infatti, non è solo a vantaggio di enti privati e convenzionati, ma anche verso altri Stati, «soprattutto nell’Europa settentrionale – chiosa Cleva – dove gli stipendi possono essere anche il doppio di quelli offerti in Italia».

La formazione universitaria
Questa mancanza di attrattività per i giovani si ripercuote anche sul sistema universitario: «In vent’anni – afferma l’infermiere – è nettamente calata la quota di domande di iscrizione al corso di laurea in Infermieristica dell’Università Trieste. Si è passati da 800 domande per 80 posti disponibili, a poco più di 150 candidati a fronte di 180 posti disponibili».

La campagna di sensibilizzazione promossa da Siiet punta anche a invertire questa tendenza. Conclude Cleva: «Oltre a formare i giovani, vogliamo anche spiegare quali sbocchi professionali possono avere sia nel settore pubblico, sia nel settore privato, con l’auspicio che le istituzioni politiche, nel frattempo, cambino approccio dimostrando una maggiore apertura mentale». I corsi di primo soccorso riprenderanno nelle scuole dell’Isontino che hanno aderito all’iniziativa anche il prossimo quadrimestre.

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