La cortina di ferro rotta per un giorno, Gorizia ricorda la domenica delle scope

La cortina di ferro rotta per un giorno, Gorizia ricorda la domenica delle scope

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La cortina di ferro rotta per un giorno, Gorizia ricorda la domenica delle scope

Di Timothy Dissegna • Pubblicato il 14 Ago 2021
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Era il 13 agosto 1950 quando migliaia di yugoslavi varcarono il confine nato tre anni prima. Il racconto di quelle ore.

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Sono passati ormai 71 anni da quando cinquemila yugoslavi si presentarono al valico di Casa rossa per tornare a Gorizia, dopo ormai tre anni di chiusura della frontiera. Fu l’inizio di quella giornata passata alla storia come la “domenica delle scope”, nata dopo aver ascoltato un messaggio alla radio e riemersa dalle memorie personali sono negli ultimi decenni, ridando valore a un episodio al quanto incredibile di quei primi anni di Guerra Fredda. Ieri sera, è stato il giornalista Dario Stasi a ripercorrere quelle ore, nella cornice della piazza Transalpina divisa dal muro.

Per l’occasione, al posto della rete e del filo spinato c’era un chiosco di birra a simboleggiare un brindisi transfrontaliero. Accanto ai birrifici Reservoir dogs e Antica Contea, artefici della “Borderless”, il direttore della rivista Isonzo-Soča ha quindi ricordato quella storia, grazie al lavoro documentato fatto dagli anni Novanta. Come spiegato da lui stesso all’evento, organizzato dal circolo Arcigong e dal gruppo di lavoro per GO2025, la voglia di riscoprire quella pagina partì da un dialogo con alcuni giornalisti sloveni, che gli donarono proprio una scopa.

Un gesto simbolico a ricordo di quella giornata che però, sul versante italiano del confine, non veniva citata così spesso. Tra i primi a raccontagli i dettagli fu il senatore Darko Bratina, insieme ad altri testimoni dell’epoca. In questo modo, scoprì che quelle persone avevano sentito l’annuncio della riapertura del confine per quella giornata in via eccezionale, a ormai tre anni dai trattati di Parigi che divisero la città dal suo entroterra agricolo. Separando di fatto migliaia di famiglie, che si ritrovarono catapultati in due mondi totalmente diversi, con in mezzo una Cortina di ferro.

Erano anni difficili sia per il Goriziano italiano, sia per quello sloveno dove mancava praticamente tutto. Per questo, la prima cosa che fece la folla fu quella di riversarsi in via Rastello, i cui negozi aprirono anche se era domenica. La foto della giornata, apparsa sulla stampa nazionale, era quella di una madre con in mano una scopa: nell’area dove si sarebbe espansa Nova Gorica e dintorni, infatti, non c’era un negozio che vendesse prodotti da usare tutti i giorni, così come mancava ancora una vera città che potesse soddisfare i bisogni. Tanti, poi, cercavano il pane.

Stasi ha ripercorso quei momenti davanti a molti goriziani e qualche turista, nonché all’assessore alla cultura Fabrizio Oreti e del vicesindaco di Nova Gorica, Simon Rosič. Sognando magari di dare ulteriore spazio a questo racconto, con nuove iniziative. Delle preziose testimonianze di quei momenti sono oggi custoditi nel piccolo museo della stazione Transalpina, mentre si spera di poter recuperare il documentario girato dalla Rai proprio con il giornalista. Nel frattempo, rimane il brindisi in quello che era una piazza divisa dalla storia e oggi è un salotto comune.

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