La storia di Reka e Jannat, i volti le testimonianze dal corteo di Monfalcone: e c'è chi si è convertito

La storia di Reka e Jannat, i volti le testimonianze dal corteo di Monfalcone: e c'è chi si è convertito

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La storia di Reka e Jannat, i volti le testimonianze dal corteo di Monfalcone: e c'è chi si è convertito

Di Salvatore Ferrara • Pubblicato il 23 Dic 2023
Copertina per La storia di Reka e Jannat, i volti le testimonianze dal corteo di Monfalcone: e c'è chi si è convertito

Dalle due sorelle che studiano all'Università di Trieste fino a chi ha seguito l'amore fino alla conversione all'Islam, i racconti dalla strada monfalconese.

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Seppure da qualche organizzatore è stato raccomandato: “si parla dal palco”, a onor di cronaca, questo invito non ha fermato la nostra raccolta delle testimonianze, di quelle voci fondamentali per raccontarvi cosa si è provato e vissuto alla manifestazione di stamane. Ad esempio, per tutto il corteo e davanti al palco ci sono state due sorelle: Reka e Jannat, rispettivamente di 24 e 26 anni, entrambe studentesse universitarie.

Reka frequenta l’ateneo triestino, studia scienze infermieristiche ed è mediatrice culturale in ambito sanitario. “Siamo qui per difendere i nostri diritti, chiediamo rispetto e la possibilità di vivere meglio con i nostri coetanei – ci spiega Reka – siamo donne libere. Mi sento ferita quando il sindaco Cisint critica il nostro modo di vestirci. Non mettiamo dei sacchetti in testa. Lei parla ai media di diritti delle donne, ma li difende veramente?”.

A fare eco a sua sorella, c’è Jannat. “Vivo a Monfalcone da più di 17 anni. Il sindaco ci dice che siamo chiuse in casa, ma allo stesso tempo ci viene privato di fare il bagno in mare”. Reka e Jannat sono due mediatrici culturali e lavorano in una cooperativa dove sono occupate altre 20 colleghe.

“Di donne musulmane che lavorano a Monfalcone, non ce ne sono solo 7 come dice il sindaco – specifica Reka – molte di noi sono impiegate tra Sistiana e Trieste. Non molla nemmeno Shanin che con la sua carrozzina non si perde nemmeno un istante del corteo e dei discorsi. “Chiedo di poter pregare e di poter migliorare la mia condizione di vita qui” così Shanin. Dopo alcuni silenzi iniziali alla nostra vista, si è avviato verso il palco pure Jahangir Sarkar. A seguito di un momento di esitazione, il consigliere esprime le sue perplessità e fa riferimento ad un processo di integrazione “che doveva già cominciare 15 anni fa”.

“La convivenza è necessaria – ammette Sarkar – ma, al momento l’integrazione vera non esiste. L’unità è qualcosa di impegnativo”. Karim invece – all’anagrafe Michele – si è sposato con Ferosa convertendosi all’Islam. “Sono un italiano musulmano – dice – e lavoro nel settore edile. La Costituzione parla chiaro: pregare non è un reato. Spero che il Tar e il Consiglio di Stato mettano fine a questa storia”.

Quello che si sente rispetto al rapporto violento che gli uomini hanno sulle donne – continua Karim – è falso. Loro non vengono maltrattate. Il niqab non è un obbligo ma è un segno di rispetto verso il proprio uomo e prima ancora verso Dio”. Da 24 anni residente in città, Kamruz testimonia che le donne musulmane hanno voglia di lavorare. “Mia moglie è operai in Fincantieri – dice Kamruz – ma insieme non ci sentiamo bene in una comunità dove non si può pregare e si è guardati a vista”. Infine, c’è Antonella. Lei è assistente tecnico di laboratorio all’Isis Bem di Staranzano.

“Mentre ascoltavo i discorsi – sono le parole di Antonella – due studenti delle mie sezioni mi hanno portato una bandierina tricolore che hanno firmato. Porto questo gesto dentro di me. Mi sento un riferimento per questi giovani, una persona di fiducia. Il rapporto con loro è una ricchezza e in questo contesto ce lo stanno dimostrando”. “Le giovani generazioni cercano riferimenti nella vita di ogni giorno anche a scuola. Questa bandierina per me ha un valore importante, la esporrò in laboratorio” così Antonella in conclusione.


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