L'intervista
‘Come sei bella stasera’ va in scena al teatro di Gradisca, il racconto di un amore che cambia
Gaia De Laurentiis e Max Pisu nella commedia brillante di martedì 26. Tema cardine le relazioni e la loro mutazione.
L’amore è per sempre, o quasi. Fra il desiderio di legarsi e quello di dar vita a una famiglia, da secoli le civiltà trovano fondamento nel matrimonio, nonostante la “modernità liquida” di Zygmunt Bauman denoti una società in cui le relazioni si sfaldano nell’individualismo. Andrà in scena martedì 26 novembre alle 21 - al Nuovo Teatro di Gradisca - la brillante commedia “Come sei bella stasera”, debutto in prosa dello sceneggiatore e storico autore di Ale&Franz Antonio De Santis.
A raccontarsi in 29 anni di matrimonio saranno Anna e Paolo, interpretati dalla coppia magistrale Gaia De Laurentiis – Max Pisu, con la regia di Marco Rampoldi. «Raccontiamo le dinamiche del matrimonio a partire dal primo mese – spiega Pisu – Dal rapporto fresco e brillante dell’inizio fino ad arrivare al ventinovesimo anniversario, attraversando tutte le fasi e le dinamiche che ogni matrimonio comporta». Dalla ricerca del primo figlio ai successivi, fino alla necessità di una casa più grande e alla presenza del terzo incomodo dei nonni, che non lasciano spazio all’intimità degli sposi. «Lui è molto legato alla mamma, che fa da terzo incomodo in casa. Poi, i figli crescono, bisogna portarli alle feste, infine si fidanzano. Tutte dinamiche che chi ha vissuto il matrimonio riconosce, quindi il pubblico ride perché si rivede in ciò che portiamo in scena». Una pièce leggera non senza margini di riflessione, dove l’amore si stempera in affetto e gli sguardi racchiudono la consapevolezza del cambiamento. Una carriera – quella di Pisu - iniziata con il cabaret, poi proseguita con fiction, teatro e televisione, senza tuttavia disdegnare il cinema. Fra i suoi successi al botteghino ricordiamo “Chiedimi se sono felice” e “Tu la conosci Claudia?” di Aldo Giovanni e Giacomo, ma anche “In questo mondo di ladri” e “South Kensington”, con un Rupert Everett che recita per intero in italiano. «È il contatto col pubblico che mi dà più adrenalina», rimarca. Una vita impegnata fra una trasferta e l’altra, ma con una casa alle porte di Milano, dove questa domenica si concludono le repliche al Teatro Leonardo per poi approdare a Gradisca. Diplomata al Teatro Studio di Milano è invece Gaia De Laurentiis, che ricorda con nostalgia il grande Giorgio Strehler.
«Inaugurò con noi il primo triennio. La cosa bella è che fu l’unico corso a offrire una borsa di studio, che ottenni anche io. Fu un triennio fantastico, durante il nostro primo o secondo anno mise in scena il “Faust”, inserendoci tutti nello spettacolo. Al primo anno in accademia lui inaugurò la Scala a dicembre col “Don Giovanni”, e noi ad assistere a tutte le prove. Non studiavamo solo in accademia, ma calcavamo anche la scena. Ci siamo diplomati con l’ “Arlecchino servitore di due padroni” e siamo andati in tournée all’Opéra di Parigi, cose folli. Tre anni meravigliosi». Di Strehler Gaia ricorda l’umanità straordinaria. «Era un grande uomo. Si arrabbiava moltissimo, però allo stesso modo sapeva lodarti, ed era estremamente generoso. Ci diceva sempre “Non state con le spalle al muro perché poi non succede niente. Fate figli, divorziate, amate, litigate. Sennò che ci portate, qua sul palco? Solo la teoria!”. Io l’ho seguito alla lettera, con una vita variopinta, fra separazioni e tanti figli».
Pur essendo una storia ideale, quella che Gaia e Max portano in scena, è «molto realistica – sottolinea – a tratti grottesca, ma sempre comica». Dinamiche matrimoniali narrate in chiave ironica attraverso l’infinita meraviglia del teatro, che stimola la riflessione e la presa di distanza in chi assiste. «Il pubblico, nel momento in cui ha vissuto le stesse situazioni ci ha sofferto tanto, ma quando si rivede dall’esterno ci ride. È questo che offriamo: quella distanza di sguardo per far sì che tutto si sdrammatizzi, pur essendo estremamente reale. Con un finale a sorpresa tutt’altro che comico, sul quale ho discusso a lungo con Max, che non concorda con me. Perché il giorno in cui un uomo riuscirà a mettere in atto quel finale, avremo voltato pagina nella parità di genere». Non è uno spettacolo sulla questione femminile, ma sul tema di come possa salvarsi la coppia di lunga data. «La coppia parte dalla giovinezza, per poi affrontare tutte le situazioni. Dai figli che crescono, al lavoro o alle gelosie. Fino ad arrivare a un’inevitabile stanchezza finale, che non necessariamente conduce alla fine del rapporto». Il segreto sta nel saperlo mantenere vivo con una ricetta nuova. «La ricetta la dà lui, anche se io lo trovo strano - osserva De Laurentiis – La figura maschile ne viene fuori molto bene, ma non sono convinta che abbia quella capacità. Saper tenere insieme i pezzi è un compito che porta ancora a compimento la donna. E qui l’argomento diventa spinoso perché, anche se lo spettacolo non ne parla ci si domanda fino a che punto valga la pena tenere i pezzi assieme, perché poi rischia di diventare vittima».
Un tema delicato che appare solo in trasparenza, dove la conclusione rappresenta invece «una carezza sul cuore, assolutamente positiva. Forse in questo momento va benissimo che sia l’uomo a dare la ricetta». In un periodo storico in cui l’urlo delle donne in piazza è contro ogni forma di patriarcato, De Laurentiis riflette sulla necessità di un “finale di partita” positivo, pur trattandosi di uno spettacolo leggero. «L’ultima scena vira completamente – ribadisce - Non è solo una pièce allegra, anche se fa ridere attraverso la distanza. Sono situazioni che tutte le famiglie con figli hanno attraversato, se hanno retto, dove ogni scena è a rischio separazione». In trasferta a Milano dal 14 novembre, l’attrice vive lontano da Roma e dalla famiglia sospesa come in una «bolla». «Vivo in questa casetta in una sorta di universo parallelo dove posso vedere film, leggere o fare passeggiate, con grande invidia di mio marito. Ho continuato a fare teatro anche nei periodi più intensi in televisione, la barra è sempre stata dritta – prosegue – Quello che mi dispiace è che oggi il teatro venga spesso inteso come un ripiego. Insegue la televisione per motivi economici perché la gente non va agli spettacoli». Secondo l’attrice «abbiamo un po’ il cervello impigrito» e sempre meno tempo per ascoltarsi. Mentre «il teatro è condivisione, ed è quello che oggi si va via via perdendo». Nella stessa misura “Come sei bella stasera” offre momenti di condivisione che possono essere affrontati con una risata oppure piangendo. Uno svuotamento delle sale dovuto anche a fattori economici ed educativi, come evidenzia l’attrice.
«Le scuole portano i ragazzi a teatro, ma a mio parere nel modo sbagliato, esclusivamente legato alla didattica. Se avessi una classe del liceo classico, non è detto che porterei i miei alunni a vedere una tragedia greca, perché prima gli spiegherei cos’è il teatro, a prescindere dalla didattica. Per poi insegnare loro questo metodo di comunicazione, e soltanto dopo alzerei l’asticella. Scegliendo di portare gli studenti a teatro la sera, intanto perché non è un momento in cui si salta la scuola. Quando ero bambina e mi portavano al cinema di pomeriggio, ricordo che quel sole dopo un film lo trovavo davvero maleducato. Quando ho cominciato ad andare al cinema con le tenebre ho capito che era quello il suo momento, e così è ancor di più per il teatro». Ricordando la prima matinée al Carcano con la “Lisistrata”, Gaia racconta come prima di proseguire le repliche gli attori si recarono al liceo per incontrare i ragazzi.
«Il giorno dopo cambiarono radicalmente. Nessuno gli aveva spiegato che il teatro si fa dal palco e dalla platea, che è uno scambio reciproco. Se non c’è scambio, non funziona. Gli stessi professori probabilmente non conoscono il meccanismo del teatro. Puoi anche mangiare le patatine, l’importante è starci con la testa. In Inghilterra vanno a teatro con i panini, ed è bellissimo. Nel Regno Unito il teatro è business, qui no». Prima di congedarsi non lesina di raccontare dell’assenza paterna e dell’episodio in cui iniziò la sua passione per il teatro. «Non ho memoria di papà in casa, lo vedevo una volta l’anno quando andavo in vacanza con lui d’estate. C’era un grande affetto, ma non è che abbia respirato l’aria del teatro, anche se la prima volta che caddi innamorata persa fu intorno ai quattrodici anni. Uno spettacolo fatto da papà con Giulia Lazzarini, in cui ricordo di aver pensato “Vorrei fare questo, nella vita!”». Lo spettacolo era “Buonanotte mamma”, andato in scena nel 1984 al Festival di Spoleto su testo del premio Pulitzer Marsha Norman. Giulia rimase stregata dal dramma, e da allora ne ha fatto di strada.
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