Come imparare la storia senza ricordare le date, la lezione di Vanoli a Gorizia

Come imparare la storia senza ricordare le date, la lezione di Vanoli a Gorizia

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Come imparare la storia senza ricordare le date, la lezione di Vanoli a Gorizia

Di Timothy Dissegna • Pubblicato il 25 Mag 2024
Copertina per Come imparare la storia senza ricordare le date, la lezione di Vanoli a Gorizia

Apprendere la storia va ben aldilà dell'imparare delle date, come spiega lo storico Vanoli. Ma anche il racconto sul palco cela insidie per chi ascolta.

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Le date sono certamente un elemento centrale quando si parla di storia, ma non devono esserne l’unico. Una concetto che appare un po’ stonare con il tema centrale dell’edizione 2024 del Festival èStoria, appunto Date, ma fortemente premuto da Alessandro Vanoli ieri pomeriggio sul palco del Teatro Verdi di Gorizia. Lo storico e divulgatore, dialogando con Barbara Macor in un incontro dal titolo provocatorio ‘Non mi ricordo le date!’, ha fatto così una disamina attenta di cosa voglia dire insegnare ma soprattutto apprendere.

Dopo una carriera accademica, nel 2012 Vanoli ha deciso di dedicarsi alla divulgazione, in un passaggio di ‘mondi’ che per lungo tempo si sono guardati da posizioni lontane. «La divulgazione - ha spiegato - per molti anni è stata lasciata in mano ai giornalisti, Alcuni hanno fatto lavori ottimi come Piero Angela, altri opinabili e penso alla Storia d’Italia di Montanelli dove manca la complessità, oppure ad Aldo Cazzullo e il suo libro Quando eravamo i padroni del mondo. Bisogna scommettere sul rendere la divulgazione una narrazione della complessità, non del racconto».

Una linea di confine tanto sottile quanto ampissima, dove vige l’assioma che una cosa complessa non sia divertente. «La vera scommessa è lavorare con margini alti di complessità. I festival migliori già lo fanno». L’ospite però guarda anche al rischio che si cela dietro al racconto portato sul palco: «Rischia di essere un racconto appagante che va in direzione di un pubblico e del mercato, ma se non mette in crisi chi ascolta non serve a molto». Dall’altra parte, come evidenziato anche da Macor, c’è bisogno di riportare la storia tra la gente.

C’è poi il come apprendiamo il passato, che inevitabilmente non può essere solo un susseguirsi di date e avvenimenti. Altrimenti «che senso ha lo storico?», è la domanda di fondo posta dal saggista. Bisogna quindi analizzare quella complessità più volte sottolineata, partendo dalla stessa fonte che ci racconta cos’è accaduto, che ripercorre a sua volta fatti avvenuti secoli prima. «Ci dobbiamo chiedere cosa pensasse chi ha scritto quel testo, perfino cosa mangiasse per capire chi era. È un dubbio proiettato su una vertigine di passato».

Proprio ponendosi interrogativi, secondo Vanoli, si può avere una visione più ampia di cos’è accaduto. «La nostra è una storia di maschi bianchi morti - rimarca - ma se parto dall’assunto che c’era un elemento di sudditanza nelle donne, allora queste non le vedrò mai. Dal punto di vista storico, però, non bisogna mai fidarsi di ciò che si pensa che non si vedrà». Concetto analogo per quanto riguarda la presenza di comunità straniere o di altri fedi religiose all’interno della storia che siamo abituati a conoscere, concentrati però solo su una visione.

In questo nuovo modo di rapportarsi al passato, dove sempre più persone sono meno attratte dal conoscere cos’è accaduto, per Vanoli una colpa è da ricercare anche nel mercato: «Ha la pessima tendenza di aver bisogno di acquirenti per funzionari e ci dice cosa desiderare per acquistare. Non solo oggetti ma anche quale vita desiderare, perché è tutto comprabile. Quando il mercato fa questo appello interno, si rivolge alle emozioni e finiamo per vederci da soli. La storia invece dovrebbe essere partecipazione, se perde il senso del collante non serve a niente».

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