L'evento
La chiesa di Santo Spirito riapre rinnovata: una presentazione multimediale per turisti e visitatori

L’assessore Artico, «un pezzo di cuore». Restauro possibile con i fondi Pnrr, don Ban «è la chiesa più antica della città».
Per clemenza del cielo i convenuti si sono potuti raccogliere sull’acciottolato antistante la chiesetta di Santo Spirito, nel tardo pomeriggio del 14 marzo a Gorizia, senz’aprire gli ombrelli. «È la chiesa più antica – ha esordito don Nicola Ban nel presentarne il restauro – che risale al 1398. Il progetto è stato reso possibile grazie ai fondi del Pnrr». Una conclusione dei lavori presentata alla vigilia dei Santi Patroni di Gorizia, pur già conclusa per l’8 febbraio, quando le due città hanno celebrato in una festa corale la Capitale europea della cultura. Con una spesa complessiva di 263.977 euro – di cui 37.042 a carico della Parrocchia e 226.935 ottenuti con i fondi Pnrr - la piccola perla incastonata sulla cima di Borgo Castello è stata riportata al suo antico splendore. Dopo una preghiera allo Spirito Santo, a prendere la parola è stata l’assessore al Go! 2025 Patrizia Artico, che ha manifestato la propria soddisfazione di fronte alla rete d’innovazioni con cui la città sta ripristinando l’antico volto. «La gioia è di tutti, perché abbiamo recuperato un pezzo di cuore e di storia di Gorizia – ha rimarcato – e questo borgo meraviglioso ha recuperato uno dei suoi pezzi più importanti. Lo promuoveremo fra i goriziani e i turisti».
Una storia lunga centinaia d’anni che inizia nel lontano 1398, quando sempre nel mese di marzo - ma più di sei secoli indietro – Giovanni e Michele Rabatta ottennero dal papa Bonifacio IX la concessione per costruire una nuova chiesa in città. «Con la bolla “Exigit vestrae devotionis sinceritas” il papa rivendicava la necessità di una cappella per il borgo – racconta lo storico Vanni Feresin – in quanto la pieve di Salcano era troppo distante». Fu così che venne fondata quella che ancora oggi rappresenta uno dei simboli più iconici di Gorizia, i cui lavori si conclusero nel 1414. «Fino al 1500 e poi per tutta l’epoca asburgica la chiesa rappresenta una continuità fra l’istituzione civile e quella religiosa – prosegue Feresin – e al contempo è simbolo del connubio fra due famiglie». A partire dal protiro, sintesi dei Rabatta con i baroni di Castelpagano, dove a destra ritroviamo la statua raffigurante la moglie Mariabella e a sinistra Michele che regge una pergamena. Due statue protagoniste di un curioso equivoco, scambiate per un’Annunciazione.
«Molte volte a Gorizia ci si dimentica delle storie», ricorda Feresin, che spiega come alcuni storici dell’arte scrissero di un «Arcangelo Gabriele» che «aveva perso» le ali. Le stesse aggiunte a Michele Rabatta creduto San Gabriele e tolte soltanto nel 1988. «Lavorare s’un edificio del genere, che riveste grande importanza per Gorizia, è stato impegnativo, ma anche stimolante», ammette l’architetto Anna Ferigutti, che ha dovuto misurarsi con diverse criticità. «Oltre a restaurare le opere d’arte, bisognava risolvere le infiltrazioni delle coperture e l’umidità di risalita». Un grosso strato di vegetazioni infestanti aveva spostato i coppi, mentre l’umidità aveva degradato gl’intonaci interni, ripristinati con malte e pitture traspiranti. Fra i numerosi interventi, oltre all’adeguamento dell’impianto elettrico è stato rimosso l’acciottolato esterno – poi ricollocato – per liberare la canalina insufficiente a intercettare le acque in discesa dal castello.
«Il nostro è stato un impegno abbastanza faticoso», riconosce la restauratrice Paola Venuti, che insieme a Francesca Fontana ha recuperato le opere. «Ma ci ha dato tanta soddisfazione, facendoci lavorare in un ambiente quasi bucolico». Muschi e licheni avevano avvolto il protiro, mentre le statue in arenaria di Muggia presentavano temibile crepe ed erano in procinto di sgretolarsi. «Abbiamo eseguito un trattamento biocida anche sul Cristo a lato del protiro», prosegue, riferendosi alla copia del 1988 realizzata in una bottega di Ortisei. Un trattamento antimuffa replicato all’interno, dove le decorazioni sono state ripulite in modo meccanico “a secco” per non danneggiare le tempere. Si tratta di metope di fiori e foglie d’acanto risalenti al 1931, applicate per infondere un aspetto rinascimentale alla luminosità degli ambienti. Ma l’opera più importante è la maestosa Assunzione custodita sopra l’altare maggiore, attribuita a Domenico Robusti figlio del Tintoretto.
«Grazie al nostro lavoro abbiamo la fortuna di toccare con mano queste opere», confessa Venuti affascinata. Una plasticità di panneggi e volti visibile anche nei contenuti multimediali disponibili all’ingresso, che restituiscono con colpi di luce o semplici pennellate l’ascesa al Paradiso. Accanto a questa, la mirabile statua lignea raffigurante il Cristo flagellato, di probabile datazione quattrocentesca e attribuibile a un autore nordico o dei Paesi Bassi. Un Cristo scarnificato del quale s’intravedono persino le rotule, che richiama tutto il peso del sacrificio di colui che si è immolato per l’umanità. Ed ecco la chiesa in tutta la sua pienezza originaria, con l’esperienza interattiva realizzata da Giulia Totis e Stefano Vidoz di 4Dodo ad accogliere i visitatori. Le mura immacolate sovrastate dalle travi lignee richiamano l’essenza dell’intitolazione allo Spirito Santo, in cui l’anima possa trovare «nella fatica, riposo,/ nella calura, riparo,/ nel pianto, conforto». «Il nostro intento era farne scoprire le sue bellezze», sottolinea Totis, che specifica come la narrazione sia disponibile in lingua italiana, slovena e inglese, articolandosi in una parte storica e una architettonica. La chiesa sarà aperta tutti i giorni secondo gli orari dei musei provinciali, mentre la domenica rimarrà aperta durante la mattina grazie ai Templari cattolici.
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