LA SITUAZIONE
Centri Islamici monfalconesi: difficile equilibrio tra culto e legalità. Comune compatto sul fronte della fermezza

Nel primo venerdì dopo la fine del Ramadan e dopo le tre sentenze del Consiglio di Stato permangono gli interrogativi sull’attività tra incertezze e controlli.
C’è chi le sentenze le illustra, chi le interpreta e chi le deve osservare. Poi ci sono anche i fatti che spesso rivelano tutt’altro o dimostrano che “interpretazioni miste” sarebbero possibili. Primo venerdì dopo la fine del Ramadan: per tutta la mattina il piazzale dell’ex Hardi di via Primo Maggio – proprietà del Centro Baitus Salat di via don Fanin - è vuoto e non c’è alcuna preghiera. Dopo mezzogiorno, in via Duca D’Aosta - dove ha sede il Centro Darus Salaam – si notano alcuni gruppetti di persone che con discrizione entrano nell’edificio. Non è possibile capire se effettivamente si preghi o no.
Il presidente del Darus, Md Jahirul Islam, non è raggiungibile mentre quello onorario, Bou Konate, è fuori città. Si incrociano alcuni sguardi: nessuno parla o sembra avere dei riferimenti: regna l’incertezza. La zona è presidiata da chi di dovere per la vigilanza e la garanzia della sicurezza. A poca distanza, in via don Fanin dove ha sede il Baitus, incontriamo il referente Rejaul Haq Raju il quale ci spiega che in quella sede sono vietate le preghiere collettive di massa mostrando il cartello posto all’ingresso. Tuttavia, sembra che nel pomeriggio di oggi – si presume verso le 17 - si preghi a piccoli gruppi.
«Oggi ci sarà un solo turno con chi si presenterà qui su base volontaria – spiega Haq – mentre un’altra cosa sono le ṣalāt quotidiane che durano 5 minuti più altrettanti di commento a cura dell’Imam Belal Hossain». Haq riferisce pure di aver avuto contatti con il parroco di Sant’Ambrogio, don Flavio Zanetti. Per oggi, il campo del vicino Oratorio San Michele però non è stato concesso come per la fine del mese Sacro. Sembra comunque ci sia allo studio una soluzione ma – al momento – non si fa alcuna ipotesi.
«Dove pregherà il 30% della popolazione di questa città?» domanda Haq. «Noi siamo disponibili ad aprire un centro anche in una zona periferica, fuori dal cuore cittadino – continua – ma non accettiamo di uscire da Monfalcone. Paghiamo le nostre tasse qui, chiediamo di pter avere una sede dove si possa professare la nostra fede». «Il Comune ci dà un’indicazione?» chiede ancora Rejaul che continua a cercare collaborazione e dialogo. «Noi abbiamo bussato alla porta e l’abbiamo sempre trovata chiusa» conclude accennando pure alla volontà di incontrare il Prefetto di Gorizia dopo le elezioni comunali.
«La protervia dei centri islamici non ha più limiti: più che ad una violazione di una sentenza, ci troviamo di fronte a una sorta di atto sovversivo nel momento in cui non si rispettano i pronunciamenti della magistratura e si incita la comunità musulmana, ingannandola, a continuare a pregare all’interno di luoghi proibiti a questo fine. La decisione dei giudici è stata molto chiara quando rileva che la libertà di culto non può essere evocata per sottrarsi al rispetto delle norme primarie e secondarie e ai vincoli posti alle attività di rilevanza pubblica a salvaguardia della convivenza civile» commenta l’europarlamentare leghista Anna Maria Cisint.
Sullo stesso indirizzo si esprime il candidato sindaco del centrodestra, Luca Fasan. «Voglio essere chiaro: le sentenze del Consiglio di Stato sono definitive, inappellabili e soprattutto limpide nella loro indicazione. Non esistono margini di interpretazione o possibilità di aggirare il dispositivo legale. È fondamentale rispettare le norme urbanistiche e garantire una convivenza pacifica nel rispetto delle regole che valgono per tutti i cittadini» dichiara Fasan che ha ribadito la linea anche a margine della visita odierna in città del ministro per i Rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani. «Le sentenze sono prova del buon governo di centrodestra e di una riuscita visione sulla città» così il candidato.
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