l'anticipazione
Cento anni dal Museo della Redenzione, il viaggio nella Gorizia post-guerra
La mostra, interamente bilingue in italiano e sloveno con la possibilità di traduzioni in inglese, verrà inaugurata venerdì 12 luglio. Il viaggio nei decenni.
Nonostante il clima di vacanza, o forse proprio con l'intenzione di allietare i turisti presenti in città nei prossimi mesi, si susseguono a ritmo serrato le iniziative che vedono protagonista Palazzo Attems Petzenstein, sede dei Musei Provinciali di Gorizia. Ieri, la conferenza stampa che ha presentato il progetto “Tre Sguardi, Go!2025” che coinvolge Steve McCurry, Meta Krese e Alex Majoli; oggi pomeriggio alle 18, l'inaugurazione della spettacolare mostra “Italia Sessanta. Arte, moda e design. Dal boom al Pop”; il prossimo 12 luglio, l'apertura di “Memorie di un museo”, esposizione celebrativa del centenario del Museo della Redenzione, antenato dell'attuale Museo della Grande Guerra che, al momento, risulta chiuso per rifarsi il look in vista della Capitale europea della Cultura.
Sebbene con un attimo di ritardo, non è casuale che l'apertura di questa esposizione avvenga proprio in estate: era infatti l'8 giugno del 1924 quando nell'atrio del Palazzo di Piazza De Amicis, veniva inaugurato il primo allestimento del museo, realizzato dall'allora direttore del Museo Provinciale Giovanni Cossar. L'attuale mostra propone una selezione dei cimeli attualmente conservati in Borgo Castello (fra gli altri: un diorama del campo di battaglia, un lanciafiamme, la parte di un'elica d'aereo) per concentrarsi invece sulla storia del museo stesso, raccontata su pannelli che saranno sistemati nell'ala sud del piano nobile (quella che guarda verso via Carducci).
Il percorso espositivo, curato da Alessandra Martina, si concentra su cinque momenti salienti nella vita dell'istituzione, ampiamente contestualizzati nell'orizzonte storico del territorio. La prima sala presenta un'introduzione che racconta come si presentasse la città dopo 29 mesi di linea del fronte. Da entrambe le parti si era cominciato a pensare all'istituzione di un museo di guerra alla fine delle operazioni belliche: il generale Giovanni Cattaneo, comandante della piazza di Gorizia, inizia a raccogliere dei cimeli e lo stesso accade al comando di tappa austro-ungarico ma, dopo un primo momento di entusiasmo, i progetti si fermano complice anche – nella parte italiana – le difficoltà seguenti a Caporetto.
Nell'estate del 1918, tuttavia, siamo certi che l'idea del museo non fosse stata abbandonata: a seguito del rientro dei profughi dai campi di prigionia, il Comune chiede la disponibilità di un loro ricovero a Palazzo Attems ma il permesso viene negato perchè se parte di esso era ancora abitata dei Conti e un'altra parte era già occupata dal museo provinciale, l'ultima porzione dell'edificio era destinata a ospitare il futuro museo delle dodici battaglie dell'Isonzo.
I pannelli seguenti sono riservati agli allestimenti del 1924 e del 1938, fasi inserite nella rievocazione delle celebrazioni per l'annessione e per il Milite Ignoto, con la seguente costruzione di una città nuova e razionalista che intende razionalizzare anche la società attraverso il programma di educazione fascista, aspetto in cui rientra la questione del mancato rapporto con la popolazione di lingua slovena a proposito del quale si ricordano la chiusura delle scuole e la proibizione della libertà di stampa.
Pur mantenendo il suo assetto di museo costruito per accogliere i reduci, nel secondo dopoguerra l'allestimento curato da Paolo Caccia Dominioni si apre alla percezione del sacrificio compiuto da entrambi gli eserciti, dedicando due sale anche alla compagine austro-ungarica. Accanto al ricordo di questo profondo cambiamento di mentalità, vengono esposti gli acquerelli che lui stesso ha realizzato sulla base degli schizzi tracciati in trincea per raccontare in modo satirico e a tratti con una punta di amarezza la cesura fra i soldati che dovevano compiere il proprio dovere e quelli che invece, beneficiati da una posizione sociale più agiata, riuscivano a scampare il vero pericolo.
E ancora si possono ammirare le cartoline di propaganda di Gino Peroli provenienti da una donazione effettuata negli anni Trenta dall'avvocato Carlo Morpurgo: anche in questo caso è spesso la satira a dominare, tanto nella serie dedicata ai vincitori e vinti quanto in quella relativa alla conferenza di pace di Versailles. Fondamentale, in questa sezione, la ricostruzione del contesto storico-sociale, in cui si possono riconoscere le basi della collaborazione che ha portato alla Capitale europea della Cultura: comincia l'attività dell'Icm, viene istituito il Concorso Seghizzi, nelle strade di Gorizia risuonano suoni e tradizioni lontane grazie alla Parata folcloristica.
Le istituzioni avviano percorsi di collaborazione ma non mancano occasioni di difficoltà come la stesura di un manifesto contro la presentazione di “Gorizia tu sei maledetta” al Festival dei Due Mondi di Spoleto del 1964 (dove poi tutti gli artisti furono denunciati per "Vilipendio allo Stato ed alla Patria" da due ufficiali presenti in sala) e le polemiche che nel 1966 hanno accompagnato la presentazione del testo teatrale di Vittorio Franceschi “Gorizia 1916”, considerato disfattista.
L'itinerario espositivo, realizzato dall'architetto Chiara Lamonarca e dallo Studio +Fortuna, si conclude con il ricordo dell'alluvione del 1983 secondo un percorso che richiama la trincea senza dimenticare un accenno all'ultimo allestimento del 1990. Un monito a considerare il valore della pace è la postilla finale della mostra, all'interno della quale si trova anche una videoinstallazione curata da Cameranebbia che permette un tour nelle sale dei diversi allestimenti. La mostra, interamente bilingue in italiano e sloveno con la possibilità di traduzioni in inglese, verrà inaugurata venerdì 12 luglio alle 18 e sarà quindi visitabile fino al 20 ottobre.
In copertina: il salone del Museo della Redenzione con l'allestimento del 1924. In gallery: la sala dedicata alla conquista di Gorizia con l'allestimento del 1938 e la sala dedicata all’esercito austroungarico (1965).
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