Celso Macor tra poesia e amore per la montagna, riscoperto nella sua Versa

Celso Macor tra poesia e amore per la montagna, riscoperto nella sua Versa

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Celso Macor tra poesia e amore per la montagna, riscoperto nella sua Versa

Di Ivan Bianchi • Pubblicato il 29 Nov 2023
Copertina per Celso Macor tra poesia e amore per la montagna, riscoperto nella sua Versa

Un Celso Macor raccontato ieri non solo poeta e letterato, giornalista e acuto osservatore della contemporaneità, ma anche amante della montagna.

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“Cui, cui ciantaraja dopo di me,/ cui ciantaraja tra zent àins,/cui, quan’ che ‘l furlan al sarà finît tal sfondaron/da favelis dismenteadis?”. Lo scriveva, in una delle proprie composizioni poetiche, Celso Macor, in una delle liriche più accorate e malinconiche. Una consapevolezza chiara di ciò che, ormai, era andato e si era spento nel buio della storia: i gelsi sradicati dei paesi, il vociare, le rondini nei granai. Suoni, luci, volti di persone e di un Friuli sonziaco, quello orientale, il Goriziano, i cui tratti lui non ritrovava più essere gli originali e genuini della sua infanzia e giovinezza. Di questo si è parlato ieri sera nella sua Versa.

Un Celso Macor non solo poeta e letterato, giornalista e acuto osservatore della contemporaneità, quello raccontato ieri sera all’interno della Sala parrocchiale – dedicata da qualche settimana a monsignor Pietro Sambo – da Marko Mosetti della sezione di Gorizia del Club Alpino Italiano e da Gabriele Zanello dell’Università degli studi di Udine. “Un bar di tiara lassaimi” il nome dell'evento. A introdurre, il direttore della Società Filologica Friulana, Feliciano Medeot: “Da una parte vogliamo sì guardare al Macor letterato, ma dall’altra riscoprire un lato meno noto, quello di direttore di Alpinismo Goriziano”.

Michele Calligaris, sindaco di Romans d’Isonzo, ha rilanciato la necessità di “rileggere lo spirito di Macor che seppe guardare oltre il confine, riabbracciando quei fratelli divisi da un muro che oggi è solo invisibile ma allora era una presenza fisica ingombrante. Macor ci parla e le sue parole sono sempre attuali”. Così ha ribadito il presidente della Filologica Friulana, Gianluca Franco, che ha ripreso il discorso del primo cittadino romanese: “Oggi le posizioni di Celso sarebbero le stesse? Grazie alla scrittura possiamo rileggere i pensieri e il modo di vedere la realtà a distanza di anni e Macor ancor oggi parla in modo specifico e diretto”.

Mosetti, del Cai di Gorizia, ha ricordato come “Macor abbia preso fin da subito alla lettera quell’aggettivo ‘Goriziano’ della testata, sottolineandone la valenza geografica e guardando oltre ogni tipo di confini. La rivista, sotto la sua direzione, era non solo nota a livello nazionale ma era ricercata proprio perché era un unicum”. La testimonianza di Mosetti è stata chiara: “Dava spazio a voci anche fuori dal coro, spesso considerate eretiche, e ha fatto collaborare, in lingua, anche gli iscritti sloveni”.  Non solo tematiche legate alla montagna. “Attualità, ricerche, poesia. La sua direzione era tutto questo”.

Alpinismo Goriziano, insomma, era diventato, in quegli anni, il “Corriere della Sera del Cai italiano”. “Lui si definiva rappresentante di una generazione che guardava all’incontaminata natura delle cime e vedeva i popoli come erano stati tempo prima, fratelli”. “Nello studiare Macor mi sembra sempre manchi qualcosa, qualche tassello”, così il ricercatore Gabriele Zanello. “Non si riesce a cogliere tutte le sfumature se non rileggendo più volte gli stessi scritti. Il rischio, però, è che Macor diventi un’icona, un autore ingabbiato in se stesso ed è solo rileggendolo che si può evitare questa fine”.

Zanello è stato accompagnato nella conferenza dalle letture di Giorgio Monte. “Tra i temi principali della letteratura e della lirica di Macor tre sono le tematiche che spesso ricorrono”, la guerra, la lingua e il territorio nelle sue mille sfaccettature. Macor era certo di non essere un “solco tra passato e futuro ma un ponte: aveva ben chiara la necessità di distruggere certi muri togliendone, piano piano – ha concluso Zanello – le varie pietre”.

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