natura
Le 'cattedrali' sottomarine che raccontano il mare, viaggio nelle Trezze di Grado
Queste aree richiamano i turisti alla scoperta di autentiche oasi naturalistiche sommerse, soprattutto durante il periodo estivo. I particolari sott'acqua.
S’innalzano dai fondali sabbiosi come cattedrali nel deserto. A erigerle non sono mani sapienti, ma spesso un’associazione di animali e vegetali, che attraverso un delicatissimo scheletro calcareo intarsiano rocce di una bellezza apprezzabile soltanto da sub e appassionati di mare. Sono le Trezze di Grado, che soprattutto durante il periodo estivo richiamano i turisti alla scoperta di autentiche oasi naturalistiche sommerse. Le trezze, o grébeni – o tegnue, in veneto – sono aree rocciose di dimensioni variabili paragonabili al reef dei mari tropicali, che accolgono un numero elevato di organismi.
«Nelle tegnue è possibile trovare di tutto – spiega Saul Ciriaco, referente del Servizio di gestione e monitoraggio della Riserva di Miramare – Dagli squaletti, come gattopardi, palombi, gattucci, alle seppie, agli astici». Non di rado si rinvengono reti abusive all’interno delle quali restano intrappolati pregiati astici, come i due grossi esemplari liberati a ridosso di Ferragosto proprio nelle Trezze di San Pietro e Bardelli. Nonostante si tratti di aree protette e con deliberazione della giunta regionale del 23 dicembre del 2021 siano state ormai individuate come Zona di Protezione speciale, spesso sono una meta ambita dai pescatori di frode, in quanto rappresentano luoghi molto pescosi.
«Sono pescosissimi – precisa - perché le interruzioni di roccia favoriscono soprattutto il macrobenthos, come ascidie o briozoi, animali che stanno alla base della catena alimentare. Le proteggiamo e studiamo insieme all’Università e all’Ogs, e sono uno dei punti focali per la conservazione del Friuli Venezia Giulia. Anche le tegnue sono sito di interesse comunitario». In conseguenza dei cambiamenti climatici l’aumento delle temperature spinge nelle trezze specie che in genere vivono nel Basso Adriatico. Come la cernia, che predilige acque più calde e dalla Croazia ha iniziato a far capolino a Grado, o la donzella, che fino al 2010 era assente dal Golfo di Trieste.
«È un pesce che in Mediterraneo è molto comune, ma le condizioni non erano ideali per il passaggio. Curiosamente dal 2010 inizia a riprodursi in inverno, probabilmente perché la temperatura non è scesa eccessivamente, e adesso il popolamento è diventato stabile. Sempre nel 2010, invece, arriva il pesce coniglio dal Mar Rosso, si ferma una settimana e poi scompare. Non abbiamo più visto un Siganus luridus dal 2010». Sono specie aliene provenienti dal Mar Rosso o dall’Oceano Atlantico per lo più attraverso le acque di zavorra, che nel momento in cui trovano le condizioni ideali per riprodursi creano non pochi danni all’habitat originario.
Oltre al ben noto granchio blu - che quest’estate è stato avvistato a Grado in mezzo metro d’acqua, fra i tanti bagnanti alla ricerca di refrigerio - altri individui tentano di trasferirsi ed espandersi, come gli Holocentridae. «Da noi è giunto il pesce scoiattolo – spiega Ciriaco - arrivato l’altr’anno dalle Americhe. Che però non è riuscito a superare la barriera dei pesci locali». Da quando le normative sulle acque di zavorra hanno limitato il trasporto di larve e di piccoli individui, si sono resi più efficienti i meccanismi di controllo. «Il problema non è tanto l’arrivo della specie, quanto il fatto che le specie si trovino meglio dalle nostre parti rispetto ai nostri locali, finendo per soppiantarli».
Di qui i danni alla coltura delle vongole a opera del granchio blu - specie aggressiva in grado di spostarsi rapidamente sui fondali - che si nutre di molluschi scavando nella sabbia con le grosse chele. «Il problema del granchio blu sarebbe un “non problema” – commenta il ricercatore - Arriva nel 1940 nella laguna di Grado e per sessant’anni non fa alcun danno. Significa che le condizioni ecologiche e quelle generali non erano idonee alla sua riproduzione. Ce n’erano, ma si ritrovavano in numero limitato. Quando avviene, l’invasività dell’alieno? Quando le condizioni sono ideali per la sua riproduzione e diventa preponderante rispetto alle specie locali. È in quel momento, che diviene problematico».
Tuttavia, il danno maggiore è la presenza massiccia della meravigliosa Mnemiopsis leidyi – la così detta noce di mare, trasparente e dai riflessi iridescenti – facilmente individuabile in acque basse per le ombre che si stagliano sulla sabbia. Giunta per la prima volta fra il 2005 e il 2006, fece temere il peggio. «In realtà inizialmente non ha fatto nulla, perché le condizioni non erano adeguate – precisa - Permane rimanendo criptica per un certo numero di anni, o arriva nuovamente fra 2015 e 2016, quando si verifica l’esplosione del popolamento. A quel punto diventa invasiva, e ora ne abbiamo a miliardi». Ctenofori gelatinosi che si nutrono di larve e avannotti del pesce azzurro, con pesanti ripercussioni sulla pesca.
Una convivenza difficile, la cui possibile soluzione è inserire le specie commestibili nella nostra alimentazione. «Alla fine, forse, consumare queste nuove specie può rallentarne la distribuzione – ipotizza - Il granchio blu, come il pesce scorpione. Da noi non è ancora arrivato, ma in Mediterraneo è già presente. Però è solo un rallentamento. Prima o poi, se le condizioni sono buone, si stabiliranno in pianta stabile». Di qui l’importanza delle aree marine protette, baluardo di una condizione primigenia, «luoghi di una condizione normale – rimarca - Questa normalità è la resilienza al cambiamento. Le aree marine fungono da tampone a questo cambiamento. Aree marine più ampie della nostra di Miramare potrebbero rappresentare lo strumento ideale per mitigare i cambiamenti, in quanto sono più resilienti e tendono a mantenere lo status quo», conclude.
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