a gorizia
Cattedrale illuminata dalle candele, l'arcivescovo: «Tutti hanno diritto di pregare»
Messa al lume di candela per ricordare l’edificio di culto. L'arcivescovo: «Nella nostra società multietnica tutti devono poter aver un luogo di culto».
Una tradizione consolidata, quella di celebrare la Dedicazione della Cattedrale di Gorizia al lume di candela. Una tradizione che anche stasera, 28 novembre, si è mantenuta tra le navate della metropolitana. A presiedere la solenne liturgia l’arcivescovo, monsignor Carlo Redaelli, assieme al parroco, monsignor Nicola Ban, ai canonici del Capitolo metropolitano teresiano, monsignor Arnaldo Greco, monsignor Igino Pasquali e a don Giuseppe Baldas. Presente anche il diacono Mario Gatta.
Il tutto, come detto, a lume di candela. Mentre l’arcivescovo, nell’omelia, ha ribadito come si tratta della “Casa di Dio, non perché Dio possa essere rinchiuso in un luogo, ma perché qui viene proclamata la Parola di Dio, qui vengono amministrati come segni della grazia di Dio i sacramenti, qui viene celebrata l’Eucaristia e qui anche viene conservata perché possa essere portata ai malati e possa essere destinataria della nostra adorazione. Casa di Dio, ma anche casa della comunità cristiana. Lo è proprio perché è casa di Dio: qui con il Battesimo vengono generati i nuovi cristiani, qui ricevono il dono dello Spirito, qui partecipano all’Eucaristia, qui vengono celebrati i sacramenti e gli altri gesti che accompagnano la vita cristiana".
"Casa di Dio e casa della comunità: non due cose diverse, ma due aspetti della stessa realtà. Questo perché Dio ha scelto di dimorare tra noi, vuole essere una presenza in mezzo a noi”, così Redaelli. Il presule ha voluto sottolineare l’ecumenismo rinato dal Concilio Vaticano Secondo e di come si sia avviata una stagione di dialogo e di valorizzazione della libertà di culto ma che, ancora oggi, “questo diritto, che deve comportare anche la possibilità di avere un proprio luogo di culto, non è rispettato in molte parti del mondo, dove ai cristiani viene impedito di avere delle proprie chiese o anche la possibilità di usarle in pace e serenità".
"È giusto che preghiamo per questi cristiani perseguitati o comunque limitati nella loro libertà di credenti e che nelle sedi internazionali le varie organizzazioni, e anche le nazioni dove vige un vero rispetto dei diritti integrali delle persone, facciano sentire la loro voce a difesa dei cristiani, ma anche dei credenti di ogni religione”. Per Redaelli “la questione non riguarda solo i cristiani, ma tutti i credenti a cui va assicurata la possibilità di esercitare con libertà la propria religione, nei limiti del rispetto del giusto ordine pubblico, anche avendo l’opportunità di avere propri luoghi di culto".
"Ciò dovrebbe essere qualcosa di ovvio negli Stati, come il nostro, democratici e laici, dove la laicità, rettamente intesa, non è la contrarietà a ogni religione, quanto piuttosto la non confessionalità dello Stato e il suo impegno positivo a rendere fattibili nel concreto i diritti delle persone come singole e come associate, compreso il diritto alla libertà religiosa. Dovrebbe avvenire anche qui da noi, nel rispetto dei principi della stessa costituzione che sta alla base della nostra Repubblica, ma non sempre è così. Non nego che la cosa non sia sempre semplice, ma i problemi non vanno complicati, magari in vista di qualche interesse immediato, bensì risolti con saggezza, prudenza, gradualità e nell’effettivo rispetto dei diritti di tutti".
"Che lo si voglia o no, la nostra società italiana sarà sempre più una realtà multietnica e multireligiosa: garantire, oltre ad altri diritti (che esigono, naturalmente, i rispettivi obblighi), l’effettivo diritto di tutti alla libertà religiosa, compresa la possibilità di avere dei propri luoghi di culto, ovviamente nel rispetto dei doveri collegati, è il modo migliore per preparare per tutti un futuro di serenità e di pace”, ha concluso Redaelli. Quasi un riferimento ai recenti eventi nella città di Monfalcone. Corposo, poi, l’accompagnamento musicale che ha visto un Ave Verum composto dall’organista titolare della cattedrale, Marco Colella, eseguito alla comunione.
Composizione quasi inedita - eseguita una volta sola in un’altra parrocchia cittadina - mentre inedito è stato l’Adoro te Devote eseguito al termine della celebrazione. Entrambi i brani, come quelli della liturgia, sono stati accompagnati da Eugenio Leggiadri Gallani. Per l’ultimo brano, poi, si è aggiunto al violino Lorenzo Mian. È stato lo stesso Colella, al termine della liturgia, a raccontare il brano: “Il testo è di San Tommaso d’Aquino mentre la musica non vuole rispecchiare l’armonia medievale ma vuole ritornare alla vecchia concezione dei tempi passati di sostegno del testo, una concezione che si unisce alla visione mistica e alla preghiera del Medioevo.
Un testo che racconta l’impossibilità di conoscere il divino attraverso i sensi ma attraverso la fede. Si parla del pellicano, che nella concezione medievale era l’animale che nutriva i propri piccoli dando loro il sangue. Non un brano brioso ma molto intimistico e con ritmi lenti. Dimenticare il passato, cercando nuove rotte come la Chiesa di oggi, significa non sapere dove si vuole andare”, ha concluso Colella. Un brano frutto di anni di lavoro, sospeso e ripreso causa Covid, che riprende a tratti una tradizione francese tra Franck e Fauré ma che richiama anche al tedesco Reger in una commistione che è valsa per il Colella, e chiaramente per il Leggiadri ed il Miani, un sentito e vibrante applauso.
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