Casasola e Crico salvano dall'oblio oltre mille parole e modi di dire bisiachi

Casasola e Crico salvano dall'oblio oltre mille parole e modi di dire bisiachi

Dal congresso

Casasola e Crico salvano dall'oblio oltre mille parole e modi di dire bisiachi

Di Ivan Bianchi • Pubblicato il 26 Set 2022
Copertina per Casasola e Crico salvano dall'oblio oltre mille parole e modi di dire bisiachi

Appuntamento a Begliano con il diciassettesimo Congresso dell'Associazione culturale Bisiaca dal 30 settembre al 2 ottobre.

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Sarà Begliano a ospitare il diciassettesimo congresso dell’Associazione Culturale Bisiaca. Venerdì 30 settembre alle 18 in Villa de Fabris verrà inaugurata la mostra "L'asilo de Bean ta'l palaz" curata da Angelo Capello, Annalisa Rosin e Renato Cosma (iniziativa promossa dal Consorzio Culturale del Monfalconese/Ecomuseo Territori nell'ambito del progetto "Cacciatori di memorie"). Dopo il salto musicale portato dal Coro "Angelo Capello" interverranno Desirée Dreos, Dorino Fabris e Ivan Portelli.

Sabato 1° ottobre alle ore 17 sempre in Villa de Fabris verrà presentato il volume curato da Mauro Casasola e Ivan Crico "Zonte /Aggiunte al Vocabolario fraseologico del dialetto bisiac e ai Proverbi della Bisiacaria". Interverranno Cristiano Meneghel, Federico Vicario, Nereo Zeper e gli autori. “Si tratta di una serie di ricerche sono state fatte rispetto alle edizioni precedenti, aggiungendo anche termini che sono stati riscoperti o ritrovati con un discorso più”, precisa il presidente, Ivan Portelli. Il nuovo lavoro contiene anche modi di dire, proverbi filastrocche: “C’è tanto materiale inedito”, sottolinea ancora Portelli.

Una cinquantina di “informatori”, anche nati alla fine dell’Ottocento, hanno consentito di ricostruire anche modi di dire e soprannomi di famiglia, lavoro già iniziato all’epoca del primo Vocabolario Fraseologico. Oltre alle 12mila parola già presenti, trovate da Silvio Domini, Aldo Fulizio, Aldo Miniussi e Giordano Vittori e pubblicate nel 1985, si potrebbe ben dire che circa un migliaio siano quelle aggiunte da Crico e Casasola, ovviamente con metodo seguito dai linguisti. “Servirà come testimonianza perché la metà delle parole trovate sono ormai in disuso ma anche la parlata stessa è ormai consegnata alla storia”, sottolinea Mauro Casasola. “Siamo anche andati sui termini specifici delle varie professioni”, come, ad esempio, la pesca, più attiva a Monfalcone e Staranzano, con nomi di attrezzi di uso, e anche i cestai, nella zona di Fogliano Redipuglia.

Si tratta a volte di vuoti lessicali finalmente colmati, come “sghirat” o “scoiàtul” (scoiattolo), “cùcarle” (spioncino) e “gracular” (gracidare della rana) ecc., o di parole di uso comune finora omesse, come “mincion” (minchione), “bissèrgula” (lucertola), “palote” (denti incisivi), o ancora di voci ormai rarissime e sostituite dai loro equivalenti italiani, come per “cioma” (chioma), presente anche nel veneziano antico ma che oggi, sulla bocca di un parlante, sembrerebbe un calco estemporaneo dall'italiano.

“Corposa anche la sezione dedicata alle filastrocche, con conte, indovinelli, scioglilingua, preghiere e ninnenanne della tradizione popolare. Patrimonio spesso semplice nella sua formulazione, a volte ironico, altre volte triviale, ma pur sempre importante per fornire elementi nuovi agli studi di antropologia culturale. Abbiamo così alcune dolcissime ninnenanne assieme a preghiere che risalgono, con ogni probabilità, alla fase veneziana del Territorio, scherzi linguistici abbinati a giochi e una mole consistente di cantilene, come la famosa tiritera di “Giovanin dei usei”, (indimenticabile protagonista della Monfalcone dei tempi andati) o ancora quella recitata dai bambini durante la visita alle famiglie dei vari paesi in occasione del Primo Gennaio”, racconta ancora Casasola.

La parte grammaticale permette di chiarire alcuni fraintendimenti che spesso si generano tra gli scrittori dialettali mentre una serie di arcaismi presenti nel lessico, salvati dalla sicura estinzione, impreziosiscono la ricerca e permettono di dare testimonianza del parlato di stampo ottocentesco oggi in disuso. Troviamo così “paidir” (sopportare), “rànpedo” (acerbo), “calzamenti” (calzature) ecc. “Non sono stati esclusi tuttavia neologismi di più recente formazione o prestiti italiani, quando ormai sedimentati nel parlato. Il quadro che ne esce è quello di un dialetto ricco e variegato, che assimila facilmente apporti dal mondo venetofono, friulano, sloveno, tedesco e (più recentemente) italiano, e che gode di una certa vivacità e versatilità nell'uso, ma che al contempo mantiene alcuni tratti propri, sufficienti a distinguerlo chiaramente dai linguaggi limitrofi”.

Tra le varie fonti anche una tesi di laurea sui “marineri” di San Canzian d’Isonzo, persone che con bragozzi specializzati portavano la ghiaia fino a Trieste: “Siamo riusciti ad ascoltare le registrazioni delle interviste potendo, anche, ascoltare gli stessi anziani che raccontavano e parlavano nella loro lingua, tutte persone nate nell’Ottocento”. Ma anche le registrazioni, oltre trenta ore, recuperate da Cesare Zorzin negli anni ’70 a Pieris con interviste ad alcuni personaggi “veciononi”.

Domenica 2 ottobre alle 9.30 presso la chiesa parrocchiale la Santa Messa accompagnata dal Coro parrocchiale con l'omelia in bisiac e poi alle 10.30 presso Villa de Fabris gli interventi i Desirée Dreos su “Villa de Fabris nell'Ottocento e lo strano caso di Ruggero Berlam a Begliano” e di Dorino Fabris con “Le Suore della Provvidenza a Begliano”. 

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