Cartelli stradali in friulano, Sergon difende: «È un diritto»

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Cartelli stradali in friulano, Sergon difende: «È un diritto»

Di Redazione • Pubblicato il 02 Ago 2023
Copertina per Cartelli stradali in friulano, Sergon difende: «È un diritto»

Il sindaco di Capriva e presidente dell'Aclif difende i cartelli presenti ormai da 16 anni, «senza le nostre quattro lingue non ha più senso la specialità».

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I cartelli stradali in friulano sono presenti sulle strade del Friuli Venezia Giulia ormai grazie alla legge del 2007 ma non cessano di creare polemica. A intervenire nel dibattito è il neo-eletto presidente dell'Assemblea di comunità linguistica friulana (Aclif), il sindaco di Capriva Daniele Sergon, rilevando che "fa sorridere che a così lunga distanza di tempo ci sia chi ne contesta il valore o le forme. È ormai confermato in tutti gli ambiti (linguistico, politico, giuridico, culturale) che il friulano è una lingua diversa dall’italiano e in questo senso è riconosciuta da decenni in modo ufficiale sia a livello nazionale che internazionale".

In una lettera aperta, il vertice dell'associazione ricorda che "l'Arlef nel settembre 2021 ha stanziato dei fondi ad hoc a favore degli enti locali per l’acquisto e l’installazione di segnaletica bilingue verticale e diversi Comuni ne hanno approfittato. Molto bene. È un diritto, come ce l’hanno ad esempio gli sloveni della nostra regione, i tedeschi dell’Alto Adige, i francesi della Valle d’Aosta, i ladini e così via. Ma anche, tanto per dire, i baschi in Spagna e in Aquitania, i bretoni in Bretagna, i corsi in Corsica… La difesa di una cultura passa attraverso la difesa della sua lingua. E la difesa di una lingua passa attraverso il suo utilizzo in tutti i contesti pubblici".

Impegno che va "dai giornali ai telegiornali, dalla scuola alla viabilità. Quanto poi al fatto specifico che i cartelli bilingui italiano/friulano riportino le forme del friulano comune (quello per intenderci dei vocabolari e delle grammatiche, quello per cui Fiume Veneto è “Vildiflum” e Gorizia è “Gurize”), è dovuto alla necessità di utilizzare una forma unica per tutti, per evitare il moltiplicarsi delle forme. Questo però non significa affatto sminuire o svilire le altre parlate. Anzi, una delle caratteristiche tipiche dell’identità friulana è proprio la presenza di tante varietà. Credo che il Friuli sia un vero e proprio mosaico di sfumature, dettate dalla sua storia".

In quanto caprivese, "parlo con la -a e guai se no. Il mio collega di Mereto di Tomba parla con la -e. A San Michele al Tagliamento si dice 'i soi zùt', a Gemona si dice 'o soi lât'. E guardando ancora oltre: a Grado si parla graisano, a Monfalcone il bisiaco, in Carnia il cjargnel, a Resia il roseano (che è slavo), a Sauris il saurano (che è germanico) e a Pordenone il pordenonese. Tutto 'Friuli'. Anche la nostra storia è diversa: i miei bisnonni erano cittadini asburgici e i miei compaesani a suo tempo furono arruolati e combatterono dall’altra parte del fronte. Insomma, per semplificare, possiamo dire che il Friuli è uno... ma i friulani sono tanti".

"Il bilinguismo non offende nessuno - rimarca -, arricchisce un territorio, il suo popolo. Tutti siamo 'diversamente' friulani ed il bilinguismo è una ricchezza. Ed è anche un’arma politica ed economica, vero nuovo traino anche per un turismo di livello, che oggi si stupisce e resta incantato dalla ricchezza che hanno dato, danno e daranno le nostre quattro lingue parlate in un fazzoletto di terra così piccolo. Perché la convivenza di lingue diverse in Friuli Venezia Giulia è la base fondamentale dell’autonomia della nostra Regione: senza di esse, non saremmo così 'speciali'".

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