la cerimonia
Canti e riti antichi dell'Armenia a Gorizia, il grido sul Nagorno-Karabakh
Ieri sera il momento religioso in duomo, la testimonianza di padre Hamazasp sull'invasione da parte degli azeri: «Distruggono case e chiese».
Per poco più di un’ora, l’atmosfera del Caucaso cristiano è calato all’interno della Cattedrale di Gorizia. Ieri sera, i monaci mechitaristi del convento dell'isola di San Lazzaro degli Armeni, a Venezia, sono stati ospiti dell’Arcidiocesi per un momento eucaristico diverso rispetto alla classifica funzione religiosa. Così com’è tradizione in Armenia, infatti, i celebranti hanno intonato la messa per quasi un’ora intera, cospargendo di incenso l’altare e accompagnati da don Nicola Ban.
È stata soprattutto l’occasione per ringraziare Gorizia per aver riconosciuto il genocidio degli armeni, avvenuto tra il 1915 e il 1919 ad opera della Turchia sorta dalle ceneri dell’Impero ottomano. Il sindaco Rodolfo Ziberna, infatti, ha accolto la mozione in consiglio comunale del consigliere Andrea Tomassin (Lista Ziberna) già a luglio, e per riconoscenza le realtà regionali della diaspora hanno voluto omaggiare la città con un monumento, una croce insanguinata che sarà esposta al Parco della Rimembranza.
Ieri, questo simbolo è stato collocato all’ingresso dalla chiesa, durante la funzione diretta da padre Hamazasp Kechichian, esponente della congregazione che dal 1710 trova casa nella laguna di Venezia. Dal pulpito, il religioso ha ricordato il significato dell’essere “parenti del Signore”, ossia “operatori di pace”. Una parola, questa, che ha riecheggiato più volte nella sua omelia e che suona forte pensando a Ucraina e Palestina, ma anche nella stessa Armenia dove il conflitto del Nagorno-Karabakh non è mai finito.
“Anche il popolo armeno vive una tragedia come in Palestina - ci racconta padre Hamazasp finita la cerimonia -, in una terra dove gli armeni hanno vissuto per duemila fino all’aggressione azera. Le persone sono fuggite, quel territorio era armeno fino al 1920, quando Stalin lo diede agli azeri per compiacere Atatürk (padre della Turchia moderna, ndr). Nel 1991, gli armeni dell’Artsakh hanno fatto un referendum e hanno voluto una repubblica indipendente, nel 2020 l’Azerbaigian ha aggredito la maggior parte di quei territori”.
L’Artsakh è il nome armeno di quella repubblica, ormai completamente sotto il controllo di Baku. “Oltre 100mila armeni hanno abbandonato la loro terra, chiese e case sono a rischio perché gli aggressori distraggono tutto, come le tombe dei santi ad Amaras. Nessuno ha parlato di questo. Senza trascurare altre guerre nel mondo, ma ne soffriamo tutti”. Una situazione certamente meno raccontata dall’informazione occidentale rispetto ad altri conflitti, che è arrivata a una svolta violenta dopo decenni di guerra dopo la caduta dell’Urss.
Foto Sergio Marini
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