In cammino con Lilt, 130 chilometri senza confini arrivano a Gorizia

In cammino con Lilt, 130 chilometri senza confini arrivano a Gorizia

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In cammino con Lilt, 130 chilometri senza confini arrivano a Gorizia

Di Rossana D'Ambrosio • Pubblicato il 21 Mag 2023
Copertina per In cammino con Lilt, 130 chilometri senza confini arrivano a Gorizia

Il percorso si è dipanato fra strade pianeggianti e sentieri impervi, il racconto di cosa significa affrontare il percorso di cura.

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Si è concluso nel pomeriggio di sabato 20 maggio, in piazza Vittoria a Gorizia, il cammino di circa 130 chilometri che nell’arco di 7 giorni ha attraversato Carso, costa adriatica e fiumi, nell’ambito del progetto “Cammina senza confini” organizzato dalla Lilt. Un percorso che si è dipanato fra strade pianeggianti e sentieri impervi, interrotti dalle voci degli animali o profondamente immersi nel vasto silenzio. Un cammino che ha voluto simboleggiare il percorso che ciascun individuo deve affrontare nella propria vita, ma che ha voluto essere soprattutto metafora di quella strada “diversa” che le donne che si ammalano di cancro al seno sono costrette a percorrere.

Una via complicata, piena di asperità, sempre in salita, talvolta in bilico su sentieri vertiginosi che si aprono sul ciglio del burrone. Dove però non si è sole, ed è stato anche questo il messaggio trasmesso da Nicole e dalle altre donne coinvolte, che seppur sane hanno voluto portare la propria solidarietà. “È stato qualcosa di straordinario”, ha commentato Patrizia Artico portavoce del sindaco Rodolfo Ziberna, “anche solo l’idea di creare momenti di incontro, per parlare di una malattia per cui i successivi cinque anni sono ancora più terribili”. Abbiamo incontrato allora la rappresentante di questa squadra tutta al femminile, Nicole Primozic.

Quest'ultima ha accettato di rispondere ad alcune domande, seppur dolorose, nel tentativo di comprendere con obiettività la realtà del tutto nuova che una donna si ritrova ad affrontare da un istante all’altro, dall’istante che precede la diagnosi a quello successivo, implacabile, che non ammette compromessi.

Che cosa significa, per te, la parola ‘cancro’?
All’inizio l’ho vista come una cosa negativa, naturalmente, però poi l’ho affrontata come un’opportunità, perché alla fine, se non lo avessi avuto, molti di questi cambiamenti nella mia vita non li avrei fatti. Perché il cancro ti obbliga a cambiare, per forza di cose.

Quali sono state le prime emozioni, al momento della diagnosi? Cos’hai provato, paura… rabbia… tristezza?
Ho provato paura. Però poi mi sono detta, ok, adesso so contro cosa devo combattere. Perché per me l’arrivo della diagnosi è stato molto lungo. La mia fortuna è stata che l’anatomopatologo ha chiesto un altro frustolo, dove sono state individuate le cellule tumorali. Ero molto giovane, avevo 37 anni. La mia fortuna è stata di avere un’équipe stupenda che mi ha tenuto sotto controllo.

Questa sottile linea rossa che hai dovuto attraversare rappresenta una sorta di confine fra serenità e resilienza?
Ma per me la resilienza può essere anche una sorta di serenità, dipende tutto da come uno interpreta il termine ‘resilienza’. Io sono serena, lo sono sempre stata. E la resilienza è comunque qualcosa che mi ha dato la possibilità di poter continuare, saper trasformare una cosa brutta in una cosa positiva, il fatto di essere serena mi dà il modo di poter essere resiliente, le sento come due parole vicine”.

Ti sei mai sentita sull’orlo del baratro?
All’inizio, quando mi è stato diagnosticato, sì. Perché ho avuto la conferma, perché era un qualcosa che sapevo già, ma nel momento della diagnosi, mi sono vista nella tomba. È normale. Però poi, ho realizzato che qui abbiamo una buona senologia, i medici mi sono stati tutti vicini, l’equipe è stata fantastica. Poi, durante il trattamento, la chemio e il resto, ho creato delle amicizie. Quindi il baratro è stato solo un momento iniziale.

La pandemia ha abbassato il numero degli screening e spesso si arriva tardi, alla diagnosi. Che messaggio vuoi dare, allora, alle donne e agli uomini, anche per altri tipi di carcinomi?
La pandemia ha abbassato il numero dei casi, però secondo me le persone hanno avuto più paura di andare in ospedale a causa del covid. Io avrei più paura di un cancro, che del covid. Penso che si debba sempre fare prevenzione. È soltanto attraverso i controlli che si scoprono le cose.

Il tumore della mammella dà la sensazione di aver perso una parte della propria femminilità? Ci si sente una ‘donna dimezzata’?
All’inizio mi son sentita così. Perché quando mi sono vista senza capezzolo mi sono sentita così, però poi alla fine mi hanno fatto capire che la femminilità non è nel corpo. È nel modo di essere, nell’intelligenza, nel tuo essere. E poi mio marito, comunque, mi è stato vicino sempre, sempre, non mi ha mai fatto sentire meno donna, anzi. Io ho avuto questa fortuna, poi conosco tante altre meno fortunate. Però dipende tutto dal modo di sentirsi, dal modo di essere. Poi devi anche avere il coraggio, magari. Io non mi trucco, ma il fatto di mettersi un filo di trucco, magari chi ha la parrucca se la infila, o si mette una bandana, un bel sorriso e si esce fuori.

Secondo te, come sarebbe la Venere di Botticelli con una cicatrice al seno?
Bellissima comunque, perché le cicatrici danno un valore maggiore, come fanno i giapponesi, che ricoprono di oro i vasi rotti. Sai, abbiamo partecipato a una mostra fotografica, 5 anni fa. Eravamo in posa per un nudo artistico con la fotografa Eva Mocnik, a cui partecipavano anche le donne senza seno che non avevano voluto sottoporsi a una ricostruzione. Proprio per dimostrare che non dobbiamo vergognarci delle nostre cicatrici, non siamo state la causa di questa malattia, io non l’ho cercata, questa malattia. Per quanto l’abbia interpretata come un’opportunità, non l’ho cercata, e non devo avere niente di cui vergognarmi.

E con le cicatrici e l’arte del kintsugi è giusto chiudere questa riflessione, con una citazione di Viviana Galimberti, direttore della divisione di senologia dello Ieo di Milano, che rivolgendosi alle donne operate scrive: “Queste cicatrici preziose rimarranno per ricordarti che sei una donna che ha lavorato su se stessa. Che sei una donna migliore. E questo varrebbe la pena ricordarlo ogni giorno, quando ci alziamo, e ci guardiamo allo specchio, con tutte le nostre cicatrici, quelle che si vedono e quelle più interiori che vediamo solo noi”.

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