Il cambiamento tra uomo e guerra raccontato a Gorizia, «dobbiamo affrontarlo»

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Il cambiamento tra uomo e guerra raccontato a Gorizia, «dobbiamo affrontarlo»

Di Lisa Duso • Pubblicato il 11 Mag 2023
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Il filosofo Umberto Galimberti ha affrontato di petto il tema del cambiamento, i nuovi scenari geopolitici nel racconto di Dario Fabbri.

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Viviamo in un mondo che cambia, che si evolve e si rimodula, nel quale a variare non sono solamente gli equilibri geopolitici tra paesi ma anche il modo in cui l’uomo percepisce sé stesso. Abitiamo in un tempo di crisi del sistema internazionale a guida statunitense che si avvia verso quello che si prospetta essere un equilibrio multipolare, un mondo in cui la tecnologia sembra essere sulla strada per monopolizzare il mondo lavorativo e svalorizzare il lavoro umano, rendendo sempre più difficile comprendere il ruolo dell’uomo in tale instabile sistema.

Ma il cambiamento, il nichilismo che caratterizza la nostra epoca, spiega il filosofo Umberto Galimberti (nella foto) al Festival del Cambiamento 2023 di Gorizia “non possiamo metterlo alla porta ma va guardato in faccia”, perché è studiando il fenomeno che possiamo, se non cambiare le carte, cercare di rimescolarle in un ordine più favorevole. La crisi in cui perversano gli stati ha reso protagonista del 2022 il termine “Permacrisi” – come ricordato da Lorenzo Tavazzi – significativo del “subbuglio continuativo di molti fattori geopolitici che hanno cambiato strutturalmente gli equilibri”.

Una guerra, quella provocata dall’invasione dell’Ucraina, che ha “accelerato i ribilanciamenti del sistema internazionale già in corso e acuito la contrapposizione tra blocco occidentale e orientale”. A fare da protagonista del conflitto una Russia che ha “voluto dimostrare di essere ancora una grande potenza che ha la forza di imporsi sulle dinamiche mondiali, palesando la morte cerebrale della Nato ed imporre infine le proprie istanze ai paesi limitrofi russi”, l’analisi del direttore di Domino Dario Fabbri. Obiettivi, quelli sopracitati, che non sono stati però centrati da un paese che sta perdendo la partita sul piano strategico.

Ha invece “fornito un germe di rinascita all’Alleanza atlantica, che sta ora accogliendo nuovi membri prima informali”. Ma l’Orso russo è uno stato in sé fragile poiché intrinsecamente legato alla “percezione di sé” interna ed esterna, all’"idea di grande potenza” che vuole confermare tramite le sue azioni. Ed è qui che entra in gioco il terzo attore, che si aggiunge a Russia ed America: la Repubblica Popolare Cinese. Una potenza orientale a cui “la Russia si sta consegnando” vendendole a prezzi stracciati grano, gas e petrolio. Secondo la teoria di Fabbri sarebbe la Cina la vera vincitrice di tale guerra.

Una continuazione del conflitto a bassa intensità distrarrebbe gli Stati Uniti dall’Indopacifico e indebolirebbe la Russia, permettendo così libero spazio alle velleità egemoniche cinesi, che in particolar modo mirerebbero all’unificazione con l’isola di Taiwan. Non la pensa allo stesso modo l’analista di Limes Giorgio Cuscito, che spiega come il conflitto abbia invece avuto effetti negativi riguardo alla prospettiva cinese sulla situazione nell’Indopacifico, andando inoltre a toccare il grande progetto cinese della Belt and Road Initiative (o Nuove vie della seta) e a rappresentare una “sorta di sveglia per paesi come Giappone e Filippine",

Questi "ora temono la Cina possa seguire l’esempio russo e considerare a breve un attacco a Taiwan". Non ne avrebbe giovato nemmeno per il peggioramento dell’opinione pubblica europea verso il colosso cinese, che associa alla Federazione russa – con cui aveva dichiarato, pochi giorni prima della guerra, amicizia senza limiti – perdendo così parte del proprio soft power in quella che è una parte fondamentale delle future Nuove vie della seta. Così, se Washington lotta contro la Russia nella partita ucraina, è in atto un più grande conflitto con la Cina su campo militare, portando ad un accelerato processo di militarizzazione da parte del Partito Comunista.

Accelerazione anche e sul campo tecnologico, per via della lotta sull’approvvigionamento di semiconduttori, terre rare e intelligenza artificiale. Perché su questi ultimi fattori sono e saranno determinanti per definire chi sarà in grado di emergere dall’attuale (dis)ordine mondiale. Un avanzamento tecnologico che è sia protagonista del conflitto tra potenze quanto interprete della ridefinizione del ruolo dell’uomo nella società, e al suo riposizionamento in virtù della sempre più influente tecnologia. La tecnica, spiega il filosofo Umberto Galimberti, è diventata il vero soggetto della storia mentre l’uomo è divenuto un funzionario dell’apparato tecnico.

La tecnica non ha scopo se non il proprio auto-potenziamento, poiché la volontà di potenza altro non vuole se non sé stessa. Secondo l’etica weberiana, che vuole superare quella cristiana che è alla base delle credenze della nostra società, è necessario prendere coscienza degli effetti delle azioni, finché essi sono prevedibili: ma gli effetti della tecnoscienza sono inevitabilmente imprevedibili. Il problema della scienza è che essa non ha fini, guarda al mondo per manipolarlo ma essa è tecnica, e di per sé priva dell’irrazionalità umana. È così che la tecnica muta completamente il nostro modo di percepire le cose, non comprendendo più ciò che è bello o piacevole, ma solo ciò che è utile.

La tecnica è priva del sentimento umano, non è traviata da amore o sofferenza, dimostrandosi la più alta forma di razionalità raggiunta dall’uomo. Noi uomini non siamo più il fine, non importa più cosa siamo ma a cosa serviamo: e così da fine diventiamo mezzo. Si è realizzata dunque una realtà annichilita, nella quale è venuto a mancare uno scopo. Così soprattutto i giovani non sanno più perché dovrebbe valere la pena di stare al mondo, cercando anestetici – dall’alcol all’iperconnessione – per sopportare l’ansia verso il futuro.

Stiamo vivendo una realtà fragile, nella quale non dovremmo solamente chiederci chi sarà l’attore egemone dello scacchiere internazionale del futuro e come gestirà la partita, ma anche cosa ne sarà rimasto della nostra umanità e del ruolo dell’uomo nella società.

Foto Daniele Tibaldi

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