Quei bunker della Guerra Fredda nel Goriziano: un ‘deserto dei Tartari’ sul confine orientale

Quei bunker della Guerra Fredda nel Goriziano: un ‘deserto dei Tartari’ sul confine orientale

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Quei bunker della Guerra Fredda nel Goriziano: un ‘deserto dei Tartari’ sul confine orientale

Di Rossana D'Ambrosio • Pubblicato il 20 Mar 2025
Copertina per Quei bunker della Guerra Fredda nel Goriziano: un ‘deserto dei Tartari’ sul confine orientale

Svelati i percorsi sotterranei dal Circolo Seppenhofer. «La speleologia si evolve e ora studia anche le cavità artificiali».

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Mentre Putin costringe l’Europa al riarmo, accordandosi con gli Stati Uniti dopo aver «desiderato la guerra mondiale allo stesso modo in cui Sant’Agostino aveva desiderato la castità» (così Domenico Quirico su La Stampa mercoledì 19 marzo), a Gorizia riaffiorano i simulacri della Guerra fredda. A mostrarli attraverso un florilegio d’immagini è il Circolo Seppenhofer, nell’incontro che si è svolto mercoledì alle 19 presso la sala Dora Bassi con grandissimo riscontro di pubblico. Una ragnatela di cunicoli intessuta già durante il Primo conflitto mondiale, in parte riutilizzata in quello successivo e negli anni in cui venne istituita la così detta “Soglia di Gorizia”. La conferenza rappresenta il preludio al convegno internazionale “Divided cities and contested cities during the cold war” che si svolgerà nel capoluogo isontino dal 20 al 23 marzo, come ha ricordato anche la vicesindaca Chiara Gatta.

«La speleologia si evolve e ormai fa capolino anche quella che approfondisce le cavità artificiali – è intervenuto il presidente del Circolo, Maurizio Tavagnutti – e noi ce ne occupiamo grazie a soci giovani come Paolo Visintin». A condurre la conferenza è proprio il giovane Visintin, che da qualche anno per passione esplora bunker nascosti o mimetizzati, disseminati sul territorio. «Ho dedicato queste immagini a coloro che prestarono servizio nella Fanteria d’Arresto – chiarisce, mostrando slide con foto storiche e mappe in cirillico – e tra poco vi spiego il motivo». Era il 1947, quando l’incubo ha inizio e la città diviene il simbolo della divisione fra Occidente e Oriente. Un confine «sorvegliato e spesso teatro di episodi di spionaggio, fughe e diserzioni», in una regione che corse il concreto rischio d’invasione da parte delle truppe di Varsavia, militarizzata per l’1,3% della sua superficie. Lo spettro che diede vita alla leggenda dell’Apocalisse della Soglia di Gorizia ipotizzava la distruzione nucleare del goriziano in caso d’invasione, considerando Marcottini come “Punto Zero” per la possibile esplosione di un ordigno nucleare da circa 40 chilotoni. L’infausto compito di difendere le linee fortificate lungo i confini orientali era affidato alla Fanteria d’Arresto.

«Si suddivideva in sette battaglioni – racconta Visintin – e aveva diversi compiti», sostanzialmente per rallentare i nemici o incanalarli all’interno di assi che avrebbero favorito l’intervento delle Forze Italiane. I fanti stazionavano all’interno di «fortificazioni permanenti» costruite in punti strategici, ciascuna delle quali affidata a una brigata. E così Gorizia divenne una sorta di Fortezza Bastiani, che - come nel romanzo di Buzzati - rappresentava l’ultimo avamposto dei confini d’Italia. Opere costituite ciascuna dalla tipica “casermetta” – dove si ritrovava il necessario per presidiare più giorni consecutivi, compreso la cucina, l’armeria e la camerata – ma anche da un Posto comando e Osservazione (PCO), oltre che da postazioni “P” e “M” e un braccio di osservazione che consentisse di sollevare l’osservatorio o ritirarlo in sicurezza. «I bunker occupavano una vasta area – sottolinea Visintin - e in tutto il Friuli Venezia Giulia erano circa 1300».

In provincia di Gorizia ne sono presenti 312, di cui 27 solo sul monte Calvario. Alcuni sono abbandonati, altri ricoperti d’erba, come quello in località Salet. A testimonianza di come la Natura si riappropri dei suoi spazi a dispetto di ogni guerra. Nei pressi di Gradisca, sulla strada statale che la collega a Gorizia, sorge invece una sorta di casetta verde abbandonata: è l’ennesima costruzione insospettabile che camuffa una postazione anticarro. «Ed ecco come appaiono i bunker al loro interno», prosegue lasciando precipitare i presenti nell’incubo dei fortini segreti. Fra una zona per i medicinali e una per le maschere antigas, compaiono le scritte lasciate sui muri dai fanti, spesso lontani dalle proprie terre d’origine. La mano di “Luciano” lascia il suo nome a monito, ma in uno di questi bunker è stata anche girata una scena del film “Diabolik” diretto dai Manetti Bros (2021). Numerosi gli interventi del pubblico, come chi chiede conto dell’Organizzazione Gladio. «Negli anni Novanta è stato ritrovato un deposito di armi nei giardini dell’istituto D’Annunzio – rimarca Visintin – che pare appartenesse proprio alla Gladio».

«Sono stato chiamato alle armi come fanteria d’arresto – interviene un altro – Posso dire che nell’’82 siamo stati portati in un bunker sotterraneo e lì siamo rimasti per tre giorni e tre notti a studiare piani che prevedessero il lancio di bombe su Gorizia e Savogna se le cose fossero precipitate. Grazie al cielo la Guerra Fredda è finita, ma nessuno sapeva che le cose sarebbero potute davvero andar male». «A Nova Gorica sono presenti 60 bunker antiatomici solo per civili – s’innalza un’altra voce – mentre a Gorizia esiste un solo bunker, ed è l’archivio di Stato». Riflessioni che in tempo di pace non avrebbero provocato alcuna stretta al cuore, ma che oggi risuonano sinistre e disarmanti. 

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