La cerimonia
La Brigata Proletaria ricordata da 200 persone, Ronchi sogna la sua medaglia d'oro
Duecento persone hanno ricordato ieri in una cerimonia la Brigata Proletaria e la Battaglia di Gorizia. Il filo rosso dal fascismo post bellico all’impresa di Fiume.
I valori di solidarietà, libertà, giustizia sono risuonati ieri sera a Selz di Ronchi, nella cerimonia tenutasi in occasione dell’81esimo anniversario dall’inizio della lotta di liberazione coincidente con la fondazione della Brigata Proletaria e la battaglia di Gorizia. La storia della notte fra l’8 e il settembre del 1943 si è mescolata – nelle parole di tutti i presenti - al resoconto degli avvenimenti storici che ne sono stati alla base, portando poi a riflessioni sull’attuale situazione in cui i valori della democrazia sono messi a repentaglio, in tutto il mondo, da impulsi di autoritarismo e tentativi di oppressione.
Poco meno di duecento le persone che hanno preso parte al corteo che, partito dal parcheggio del campo sportivo, ha dapprima compiuto una breve sosta per deporre una corona davanti alla lapide di via Monte Cosich per poi raggiungere il cippo della Brigata Proletaria dove è subito stato acceso il tripode. Sindaci, assessori e consiglieri comunali dell’Isontino hanno guidato il serpentone a fianco di politici regionali, affiancati a una rappresentanza sindacale della Fincantieri e ai rappresentanti dei movimenti partigiani che, all’arrivo, hanno fatto corona attorno a Mario Candotto, ultimo reduce ronchese dei campi di Dachau.
Gli inconvenienti tecnici del sistema audio (che ha sopperito all’assenza per motivi organizzativi della banda di Ronchi e del coro “Audite Juvenes”) non hanno intaccato i sentimenti di vicinanza e commozione fra i presenti, accolti dal saluto della presidente dell’Anpi di Ronchi Marina Cuzzi: a lei il compito di introdurre il ricordo dei fatti del 1943 e le ricorrenze del 2024, come gli ottant’anni dalla costituzione delle repubbliche partigiane fra cui quella della Carnia e dell’Alto Friuli che sarà ricordata ad Ampezzo il prossimo sabato alla presenza del capo dello Stato Mattarella.
«Vogliamo riandare con il pensiero alla notte fra l’8 e il 9 settembre - ha affermato Cuzzi - quando, dopo l’armistizio firmato da Badoglio, proprio qui, alle pendici del Carso, si costituì la prima brigata partigiana d’Italia, la Proletaria, composta in prevalenza da maestranze dei Cantieri Riuniti dell’Adriatico, italiani e sloveni, a cui si aggregarono via via altri antifascisti, animati dalla speranza di cacciare lo straniero, di sconfiggere il fascismo con le sue nefandezze e di costruire un Paese, una Patria, dove vivere in libertà». Forte il richiamo da parte sua all’attualità, «un periodo in cui si tenta di riscrivere la storia e si cerca di schivare o di oscurare tutto ciò che il fascismo è stato per il nostro Paese, quando anche nelle commemorazioni ufficiali gli attuali governanti inciampano sulle parole “antifascismo” o “resistenza”, così difficili da pronunciare: ecco che la memoria diventa per noi un obbligo».
L’auspicio a non dimenticare il sacrificio di operai, contadini e persone comuni e a celebrarlo come simbolo della lotta alla tirannia è risuonato anche nelle parole del sindaco di Doberdò Peter Ferfoglia, che ha espresso l’invito a lottare quotidianamente per la libertà, minacciata costantemente dalle ideologie che rischiano di far prevalere l’autoritarismo e l’oppressione.
Ricordo e attualità si sono unite anche nell'intervento del sindaco di Ronchi Mauro Benvenuto che, menzionando l’impegno antifascista della comunità unita «dal desiderio di difendere la propria terra e la propria dignità» ha menzionato in particolare il coinvolgimento delle donne, la cui dedizione come staffette e combattenti «è un ulteriore esempio della forza e della determinazione del nostro popolo». Un determinazione che potrebbe essere premiata dal conferimento alla città di Ronchi della Medaglia d’oro al valor militare, sogno che Benvenuto condivide con la presidente Cuzzi.
La labilità della libertà, evidentemente messa in discussione in contesti come quello ucraino e palestinese, secondo Benvenuto «ci ricorda che la democrazia e la giustizia non sono mai conquiste definitive, ma ideali che vanno difesi con determinazione ogni giorno. Il sacrificio delle donne e degli uomini della Resistenza ci insegna che non possiamo restare indifferenti di fronte alle sofferenze che si stanno perpetrando in altre parti del mondo. Anche oggi, come allora, dobbiamo far sentire la nostra voce per chiedere la fine delle violenze e la costruzione di un futuro di pace».
Una dettagliata ricostruzione storica volta a sottolineare la consequenzialità fra gli eventi che dalla Prima guerra mondiale hanno portato alla Resistenza è stata al centro della prima parte della relazione di Patrik Zulian, componente dell’Anpi nazionale. Un filo rosso di causa effetto è stato tracciato dal fascismo di confine post bellico, antislavo e antisocialista, all’impresa d’annunziana (che – secondo il codice penale militare in tempo di pace in vigore oggi – sarebbe dovuta essere punita come atto d’insubordinazione) per arrivare alla lotta partigiana che ha visto uniti italiani e sloveni come espressione, della coscienza di classe con l’obiettivo di sconfiggere fascismo e nazismo.
«La pacifica convivenza passò attraverso le armi e si consolidò nella lotta. La stessa convivenza che fu messa a dura prova nel primo dopoguerra e oltre» – ha affermato Zulian. «Le battaglie diplomatiche, politiche e geostrategiche in seno al nostro territorio non divisero mai seriamente i compagni e le compagne, antifascisti italiani e sloveni. Fu il compagno Tito a Okroglica nel 1953, nel tempo della lotta diplomatica per un confine, ad esprimere la più lucida e disarmante verità: “In queste terre il nostro comune destino è la coesistenza basata su una collaborazione pacifica». Convivenza e collaborazione sono i soli principi che potrebbero condurre alla conclusione dei 56 conflitti diffusi nel mondo.
Ancora Zulian: «I conflitti sono cambiati dal dopoguerra a oggi in merito agli attori coinvolti: da due parti in conflitto le guerre contemporanee sono diventate a trazione internazionale, ovvero molteplici paesi direttamente o indirettamente stanno alle spalle delle parti concretamente belligeranti. Il modo meno catastrofico e più auspicabile per far cessare un conflitto è quel modo per il quale gli antifascisti vengono attaccati, vessati, infangati, vituperati, offesi da quando Pagliarulo (presidente nazionale dell’Anpi, ndr) si è permesso di invocarlo all’indomani del conflitto russo-ucraino: la modalità più fruttuosa è il cessate il fuoco. Noi qui tutti, antifasciste e antifascisti, invochiamo un cessate il fuoco immediato, universale e perenne».
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