il tema
Dai boschi del Trentino al Carso, quel rebus sulla convivenza tra uomini e animali
Il recente abbattimento dell’orsa Kj1 in Trentino Alto Adige ha riaperto il dibattito su rapporto tra uomini e animali, coinvolgendo anche gli artisti.
“Siamo bestie”, si legge nel cartello che regge un orso con l’aureola, nell’opera realizzata qualche giorno fa da Ozmo (nella foto). In seguito al recente abbattimento dell’orsa Kj1 non si sono mobilitati solo gli ambientalisti, ma anche gli artisti. È il caso dello streetartist Ozmo – pseudonimo di Gionata Gesi - che nel sottopasso di via Anna Maestri a Trento ha presentato il suo ultimo lavoro. Un’installazione dedicata proprio all’orsa con i piccoli che nel mese di luglio aveva avuto un incontro ravvicinato con il turista francese Vivien Triffaux. L’orsa è stata poi abbattuta in quanto ritenuta pericolosa per la sicurezza degli escursionisti che avrebbero potuto imbattersi nel plantigrado intento ad accudire la prole.
«È un tema molto delicato – riflette il vicepresidente di Legambiente Gorizia Luca Cadez – Che da un lato riguarda la salvaguardia di specie animali tutelate non solo dalla normativa nazionale, ma per prima cosa dalla normativa europea. Lupi, orsi, linci, sono tutti all’interno della direttiva habitat». Si tratta della direttiva comunitaria 43/92, che oltre a promuovere la protezione degli habitat di interesse comunitario identifica le specie per le quali si proibisce la cattura, l’uccisione, il disturbo, il trasporto, nonché la detenzione e commercializzazione degli stessi. Una decisione che non ha lasciato tempo al Tar di esprimersi a riguardo, nonostante i cuccioli avessero necessità di accudimento e al momento devono essere monitorati.
«Queste specie vanno protette e tutelate, così come vanno individuati spazi idonei dove possano realmente vivere. Il problema è che notoriamente si spostano, e anche di parecchio». Si va dalla decina di maschi presenti nella nostra regione - alcuni dei quali stanziali - al centinaio del Trentino, dove sono presenti anche le femmine, che sono soggetti meno inclini agli spostamenti. «Il problema non è spostare gli orsi, ma creare le condizioni affinché sia possibile una convivenza – rimarca il presidente di Legambiente Fvg Sandro Cargnelutti – Come mai in Trentino, dopo trent’anni, siamo giunti a un punto di rottura? Dove abbiamo sbagliato?».
Una riflessione che potrebbe evitare il cul de sac dell’abbattimento, a favore di una scelta che prenda in esame gli equilibri degli ecosistemi e le scelte etiche, nell’eventuale ipotesi di trasferimento in altra regione almeno di orse con i piccoli. «L’abbattimento è la soluzione più antropocentrica – prosegue Cargnelutti – L’interazione con l’uomo è sempre problematica, dal punto di vista della macrofauna. Le risposte dovrebbero essere innanzitutto politico-culturali, ma il tema della biodiversità è sottostimato». Un capitale naturale da preservare, nella misura in cui garantisce il benessere umano e lo sviluppo delle economie a livello globale.
«Il tema della convivenza fra uomo e animali selvatici è antico e atavico – spiega Cadez - tant’è che queste specie sono state quasi del tutto sterminate, o comunque hanno subito una fortissima riduzione nel corso dei secoli, perché erano sostanzialmente competitori per l’uomo e le sue attività. Oggi le cose sono cambiate, si tratta di un problema di equilibrio. Abbiamo bisogno di queste specie, come lo stesso lupo, perché si comportano da regolatori naturali. Regolano le altre popolazioni, per esempio dei cervi. In alcune zone, come a Pian del Cansiglio, i cervi si sono sviluppati moltissimo».
Una questione di sovrannumero che andrebbe gestito per via naturale come per il caso dei cinghiali, sempre maggiormente numerosi e per i quali sono sempre più frequenti gli incidenti stradali o le incursioni nelle aree urbane. «D’altra parte, si pone il problema del contesto territoriale fortemente antropizzato. Nel nostro Friuli, rispetto al Trentino o al Sud Tirolo, abbiamo densità più basse, ma si tratta comunque di un territorio molto popolato. Quindi resta il problema della coesistenza, che può essere attuata attraverso un’azione che sia in primis di educazione e sensibilizzazione. In Slovenia c’è un determinato sistema di gestione, la gente è maggiormente abituata a convivere e sa come comportarsi. Nella nostra regione abbiamo solo una decina di orsi».
Numeri esigui, se si pensa alle foreste delle Notranjska e Kočevska, dove si concentrano più di 500 orsi. «È chiaro che poi gli indennizzi - in caso di attacchi alle greggi - devono essere veloci e rapidi, così come un’attività di sensibilizzazione nei confronti degli allevatori, che vanno supportati, perché sono attività economiche fondamentali per la nostra montagna. La vicinanza delle istituzioni deve essere forte. Da noi l’orso non è stato ripopolato, è arrivato da solo dalla Slovenia, in un normale processo di migrazione. Una decina di esemplari, per un’area montana del Friuli Venezia Giulia ammonta a circa 4mila chilometri quadrati».
«Abbiamo anche lupi e sciacalli dorati, che da qualche anno hanno raggiunto Gorizia e sono ormai permanenti nell’area tra Lucinico e Savogna. Un processo naturale che segue anche le dinamiche di abbandono da parte umana. Parte delle attività rurali sono state abbandonate, e gli animali s’insinuano». Dalle zone aspre del Carso ai corridoi fluviali dell’Isonzo, poco alla volta alcune aree sono andate ripopolandosi via via che le attività umane si sono ridotte, come quelle estrattive o silvi culturali, richiamando orsi e sciacalli. Alcuni dei plantigradi del Friuli sono radiocollarati, come lo era Kj1 che ha ispirato Ozmo.
«Quella del runner è sicuramente una tragedia – ribadisce l’artista toscano raggiunto telefonicamente – Ma io sto dalla parte dei più deboli. Le mie opere, per quanto vengano percepite come politiche o provocatorie, vogliono essere neutre, anche se toccano dei nervi scoperti. Perché innescano dibattiti. Nella mia opera non c’è colpevolizzazione. La mia opera intende innescare una serie di interrogativi, che possano condurre a una conclusione». Una risposta che ciascuno deve trovare in se stesso, attraverso personale riflessione.
«Il cartello dice “Noi siamo bestie”. Potrebbe significare che noi uomini siamo bestie – interpretazione molto semplice – oppure che ponga un’ulteriore domanda: “Noi siamo bestie, voi cosa siete?”. Loro sono bestie, siamo noi che dovremmo non esserlo, o comunque comportarci in maniera diversa dalle bestie. Cosa fanno le bestie? Uccidono. Se ci s’interroga, si comprende come questa situazione potesse essere gestita in maniera diversa. Io vivo in Toscana, dove si è abbandonata la coltura delle campagne, e i cinghiali che erano contenuti adesso si spingono fino in città o in spiaggia. Si avverte la necessità di dare maggior consapevolezza, prima di arrivare a uno stato di emergenza».
«Quando si arriva a uccidere una mamma orsa, il rischio è che ci si comporti da bestie, mentre agli umani viene data la possibilità di gestire in maniera più strategica determinate problematiche. Come in guerra. Quando si arriva a uccidersi, si tratta di un’incapacità di comunicazione portata allo stremo. Mi piace ricordare gli indiani Dakota, che quando tornano dalla guerra si dipingono il volto di nero, sia che abbiano vinto sia che abbiano perso. Si dipingono a lutto, perché la guerra è sempre una sconfitta. Le emergenze e le criticità si gestiscono in maniera diversa. Quando si arriva ad ammazzare un orso, abbiamo innanzitutto perso la nostra umanità», conclude.
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