Il personaggio
Boris Pahor: cento e otto anni che parlano di umanità
Ferruccio Tassin, nel ricordare un incontro con il professor Pahor, rilancia la necessità di valorizzare la memoria in luoghi come l'ex campo di concentramento di Visco, visitato dallo stesso Pahor.
Recentemente ne ha compiuti 108, il Professore. La nuova serie è cominciata con i 100. Allora, un gruppo di amici andò a Prosecco a rendergli omaggio. Altre volte si attinse alla sua saggezza e alla sua immensa cultura. Per questo ricordiamo quel momento così importante per noi, che veniva dai suoi anni sempre carichi di umanità.
Spesso il raggiungere un secolo di vita è guardato più con curiosità che con interesse.
Se l’incontro con persona e tempo, su queste misure, può essere banale, per uno come Boris Pahor, testimone, in più versanti, della storia, può risultare disastroso.
L’anedottica è in agguato; lo scontato può far parte di quella che dovrebbe essere analisi; il tempo può battere, senza concorrenza, i contenuti.
Ma chi ha visto lo stupendo documentario della Rai su di lui, proiettato a Prosecco, in occasione del recente dono che ha fatto (5.000 volumi!) alla comunità, con la biblioteca che si è chiamata col suo nome, capisce che, per lui, tale pericolo è remoto o assente.
Riempiti fino all’ orlo sono gli anni di questo straordinario intellettuale sloveno ed europeo, che si incontra, ricco di doni, con tutti i membri della comunità civile: dai potenti agli umili, dalle donne agli uomini, in tutte le età e le condizioni sociali.
A Prosecco la sala della comunità era debordante di gente: dai bambini (in una recita toccante ed evocativa) a quelli che hanno visto girare gli anni in maniera vorticosa, o drammaticamente lenta nei punti cruciali della storia.
Era sempre lui il protagonista nell’incedere delle immagini legate con la natura, i tempi, gli spazi, l’intersecarsi della culture, il fondersi di filosofia, storia, letteratura, nella caleidoscopica dinamica europea.
Parlava - Boris Pahor - in uno dei caffè della Trieste cosmopolita dal respiro universale, o accanto al caminetto della sua casa di Contovello.
Che parlasse o camminasse senza proferire verbo, l’insieme raccontava di quest’uomo celebre e semplice, raffinato e ironico, smagato del mondo e interessato, entusiasta dell’umanità, eppure da essa ferito straziato, annichilito, non vinto solo per la sua grande anima capace di sopportare l’uomo, nonostante gli abissi di degrado vissuti nei campi di concentramento nazisti, propiziati dal “patriottico” tradimento fascista.
Ore e ore trascorse con lui rendono il tempo sempre nuovo, inframmezzato dalle conquiste della mente, e schiantato da comportamenti dettati da ideologie perverse.
Già, ideologie, sistematici prodotti del pensiero volti anche al progresso, ma spesso martellati da monotoni slogan, scientificamente indimostrabili, eppure seguiti acriticamente da folle sciaguratamente rese acefale dal fanatismo, con risultati che sarebbero ritenuti incredibili, se non fossero documentati.
C’è da sperare che il negazionismo o il riduzionismo - a volte si affacciano e persino prendono piede - siano resi spiegabili (mai giustificabili!) solo dalla apparente incredibilità delle vicende nel secolo passato.
Quando racconta del campo di Dora, dalle vicende obnubilate dalla celebrità dello scienziato che là aveva iniziato la carriera per la conquista della luna, si entra in un mondo che solo lui ha raccontato, senza che questo disvelamento sia divenuto monito perenne per tutti, non conoscenza per esigue minoranze.
Di fama in tutta l’Europa, lo hanno riconosciuto prima oltre le Alpi che in casa sua, solo recentemente partecipe della sua grandezza anche perché, financo nel ricevere attestazioni e onorificenze, è stato attento che non venissero “lingua dolosa”, da menti che altro pensavano e altro facevano.
Quando gli è stato chiesto di intervenire, perché il campo di concentramento fascista di Visco venisse tutelato, salvato e valorizzato, a quelli di “Terre sul Confine” disse subito di sì.
Carlo Spartaco Capogreco, col libro “I campi del Duce”, li ha documentati. Slavica Plahuta ha illustrato l’umanità dolente dietro il filo spinato, studiando, in particolare, i campi di concentramento fascisti di Castagnavizza, Visco, altri dell’Italia Nordorientale e di Fraschette (Alatri).
Il Presidente della Deputazione di Storia Patria per il Friuli, prof. Giuseppe Bergamini, ha insistito per una conservazione integrale del campo di Visco.
Ma Boris Pahor, età veneranda, sloveno di Trieste, laureato a Padova, decorato della Legion d’onore, premio Viareggio, autore di “Necropoli”, nei campi è stato rinchiuso, precisamente in quello nazista di Natzweiler-Struthof sui Vosgi; così, di quelle eclissi di umanità nella storia, parla a ragion veduta.
Gli è stato chiesto, nel corso di una trasmissione radiofonica, e per lettera, se fosse d’accordo nel conservare integralmente il campo di concentramento fascista di Visco (febbraio-settembre 1943), parte del quale esiste ancora (era molto più ampio) nelle ex caserme di Borgo Piave.
Pahor ha spiegato in maniera inequivocabile che in queste “memorie della storia”, fatte per insegnare ai popoli che cosa succede quando l’uomo vuole prevaricare sugli altri, in nome di presunte superiorità, i Tedeschi sono molto più avanti di noi.
Sicché, con la sua macchina per scrivere, preciso, usando il correttore bianco quando occorreva, ha scritto, tra l’altro: “…mi trovo del tutto d’accordo con la proposta…di un vincolo della Soprintendenza che eviti vendite inconsulte…senza la salvaguardia di memorie di una valenza che va oltre il dato nazionale. Mi permetto di aggiungere che, come un tempo deportato in campi di concentramento nazisti, sono al corrente di diversi memoriali allestiti dalle Autorità regionali e statali tedesche presso i campi o resti di campi di concentramento, sono perciò lieto di complimentare chi si preoccupa di tutelare il ricordo di un infausto destino dei deportati qui da noi”.
È venuto a parlare ai giovani della Azione Cattolica nel campo di Visco, poi si è stabilita un’amicizia che gli ha fatto scrivere articoli su giornali importanti su questa tesi, e lo ha fatto prendere posizione nei confronti dei massimi livelli della politica slovena e italiana.
Con semplicità, ospite nei locali della Circoscrizione di Prosecco, una delegazione di “Terre sul Confine”, l’Associazione vischese che si batte per la difesa e la valorizzazione del campo, è andata a rendergli omaggio, non tanto per il numero degli anni, ma per come siano stati spesi educando le coscienze, reclamando giustizia per gli oppressi.
Per più di due ore è proseguito l’incontro, affascinante, capace di arricchire, di sollecitare, di far riflettere. Poi, dopo un rapido brindisi (da lui simbolico soltanto) al Bar Luxa, lo abbiamo accompagnato a casa.
Gli hanno regalato una borsa nuova “ma la xe più pesante de quella che gavevo” - ha esclamato - così lo abbiano seguito per portargliela, fin sulla porta di casa.
E lui davanti, col suo impermeabile crema e la sua berretta color marrone chiaro, ha disceso il centinaio di scalini che collegano la strada alla soglia, librandosi leggero come una libellula…
In foto: Il gruppo di amici col prof. Pahor nella sede della Circoscrizione di Prosecco.