Il commento
Bepo Fari, l'Ambassadôr di Visc, rivive in un libro un iconico personaggio di Visco
A raccontare l’intera vicenda, costellata di decessi ma anche di giorni di duro lavoro, Ferruccio Tassin che ha raccolto la testimonianza del figlio Ezio
Una storia di friulanità e di esistenza in una terra che poco dà e tanto chiede. Ma anche di viaggi, nel Mondo e in se stessi, fino a perdersi in un’esistenza che non si riesce a riconoscere totalmente come propria e in una serie di sventure che, sommate, non danno solo idea dell’essere in sé ma che portano lentamente l’uomo, in questo caso il protagonista, a combattere fino all’ultimo. E a cedere, quasi dimenticando l’umanità ma mai il proprio io.
È la vita di Bepo Fari, l’”Ambassadôr di Visc”, l’uomo, Giuseppe Urizzi, la cui vita è stata raccontata dal figlio Ezio, scomparso qualche anno fa. Bepo, nato sotto l’impero Ausotrungarico, era partito per la Grande Guerra con un’uniforme diversa da quella che avrebbe ritrovato al suo rientro, molti anni più tardi. Una serie di vicissitudini che lo avevano portato in Cina, prima, e in Giappon, poi, ritornando con uno strano marchingegno: il “Grop di Salomon”, un “afarserio”, come direbbero coloro che parlano un friulano ben più stretto di quello insegnato oramai nelle accademie e nelle università, che solo lui, Giuseppe, era in grado di sciogliere. Un trucco che gli consentiva, fortuna non da poco nella Bassa, di guadagnarsi alcuni bicchieri con la scusa che l’interlocutore, spesso, non era in grado di ricomporre il marchingegno.
A raccontare l’intera vicenda, costellata di decessi ma anche di giorni di duro lavoro, come detto, il figlio Ezio ma anche Ferruccio Tassin che ha raccolto la testimonianza di Ezio che per anni aveva raccontato il tutto solo a pezzi. Ma un giorno, preso forse da quella nostalgia che sovviene pensando al problema di “chi” tramanderà storie e vissuto delle persone più semplici nei borghi più lontani dell’Impero, aveva deciso di sciogliere, non il Grop, bensì la storia.
Il Grop, innanzitutto, non c’è più in quanto dopo la morte di Giuseppe non si ritroverà: qualcuno dice che sia stato gettato nel Ledra ma lì non è mai stato trovato. Nemmeno nell’Aussa. Ormai anche quel marchingegno di dieci o dodici pezzi che si incastravano e che solo Bepo sapeva riunire e dividere è diventato storia.
Storia che può sopravvivere e lo fa in un volume che ricorda Bepo con il suo nome. Di lui, di una stirpe di fabbri, rimangono a oggi varie testimonianze, dal cancello dell’acquasantiera di Bagnaria Arsa alla catena del monumento ai caduti dello stesso paese. Della sua famiglia “Gjovanin” Urizzi sarà tra i due fautori della cipolla del campanile di Romans d’Isonzo.
Una storia tra le storie che merita, nonostante la brevità, di essere letta anche se – e non c’è da meravigliarsi – va subito detto che lascia un po’ d’amaro in bocca al termine del racconto: fa lanciare un sospiro consci che la vita di un Friuli contadino fino al terzo quarto del Novecento non sia stata affatto all’acqua di rose. E sono racconti e testimonianze così che rimangono come pietre angolari per il mantenimento di una memoria e di un sentimento comune.
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