Bellocchio e quei fili legati a Gorizia, il suo cinema protagonista all'Amidei

Bellocchio e quei fili legati a Gorizia, il suo cinema protagonista all'Amidei

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Bellocchio e quei fili legati a Gorizia, il suo cinema protagonista all'Amidei

Di Timothy Dissegna • Pubblicato il 25 Lug 2023
Copertina per Bellocchio e quei fili legati a Gorizia, il suo cinema protagonista all'Amidei

Il regista e sceneggiatore ha ricevuto oggi il Premio all'opera d'autore, il ricordo di Amidei: «Lui era già un grande del presente e passato».

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Ci sono diversi fili che collegano Marco Bellocchio a Gorizia, l’ultimo dei quali è stato tracciato questa sera al Premio Amidei con il Premio all'opera d'autore. Proprio con lo storico sceneggiatore, il regista emiliano ha più volte incrociato il proprio percorso, senza comunque mai lavorarci ma guardandolo con quel distacco che contraddistingue le generazioni agli angoli opposti della storia. “Era già un gigante del presente e del passato - il suo ricordo -, l’ho conosciuto quando io ero piccolo e lui grande. Era autorevole ma non autoritario”.

Nella lobby del Best Western di corso Italia, prima di incontrare il pubblico, il cineasta ha ripercorso i tratti che contraddistinguevano il carattere di Sergio Amidei: “Non sopportava l’imbecillità”. Ne è uscito così un ritratto forte, quasi arcigno dell’uomo che ha lavorato a grandi titoli come Roma città aperta e ha ottenuto quattro nomination al Premio Oscar, due David di Donatello e due Nastri d’argento. Una persona colerica, che non risparmiava di cacciare dalla porta un regista, accusandolo di aver distorto la sua scrittura nel film.

“Non eravamo amici ma l’ho conosciuto più volte a casa di Franco Cristaldi. Mi affascinava, sapeva raccontare in modo straordinario il passato”. In ogni caso, “aveva buone idee. Non voleva fare la rivoluzione d’inverno ma combinava obiettivi di buon senso”. La città in riva all’Isonzo è anche quella che ha accolto per prima la rivoluzione di Franco Basaglia: “Mi colpì molto il suo coraggio, fece delle scelte molto radicali. Le sue idee sono sostanzialmente giuste, anche se la malattia mentale ha la sua complessità e non si può risolvere con una riforma”.

“Non è vero che se cambi la società, la malattia scompare” ha rimarcato. Parlando di battaglie sociali, una raccontata dal suo cinema è quella per l’eutanasia, tornato - o sempre rimasto, forse - di stretta attualità dal suo Bella addormentata, uscito nel 2012. “Seguii la tragedia di Eluana e conobbi il papà che considero un eroe. Ebbe la pazienza e il coraggio non di fare azioni di protesta clamorose, ma dopo 17 anni riuscii a ottenere dalla Corte di Cassazione la possibilità di interrompere questa ‘non vita’”, con la vicenda ben nota.

Nella sua pellicola, peraltro, si parla anche di come la politica reagì a quella storia: “Trovai intollerabile e indegno che la maggioranza politica, in nome di un calcolo, cercasse di accelerare l’iter per la legge che impedisse che quella ragazza potesse morire in pace. Berlusconi lo fece non perché ci credesse ma per imbonirsi l’ala cattolica. Mi mosse il senso di vergogna (nel girare il film, ndr), oggi non ci sarebbe più quel tipo di scontro”. La risposta ha offerto lo spunto al regista anche su un altro tema, quello dell’utero in affitto.

Pratica, questa, su cui “c’è l’ipocrisia di chi parla delle donatrici con un principio di santità. Invece lo fanno per denaro. Anche a sinistra non ci sono posizioni unanimi”. Mentre si sommano le possibili storie da raccontare sul grande schermo, c’è lo spettro di quanto sta accadendo in America, con due scioperi distinti: quello degli attori contro l’abuso dell’Intelligenza artificiale e degli sceneggiatori, contro la mancata erogazione delle royalty dalle piattaforme streaming. Un aspetto, quello del cinema sempre più digitale, che spaventa anche Bellocchio.

“Non ho mai visto registi in Italia fare uno sciopero come gli americani, lì sono tutti fermi. È però difficile fermarsi su queste cose. Bisogna opporsi senz’altro, se gli americani lo fanno è perché vedono un pericolo”. Tornando ai temi, ha rivelato di aver ricevuto la proposta di dirigere una serie dedicata a Enzo Tortora, ma rimane ancora qualche dubbio: “Ci vuole di più, capire la sua vita privata e i giudici che l’hanno condannato. Dev’essere una storia che tu rispetti all’inizio ma poi ci si possa muovere in libertà”.

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