il racconto
L'artista Munaro e quell'amore nato a Grado, «la mia piccola Venezia»

Arrivato sull'isola dalle montagne di Alpago, Munaro è uno dei grandi artisti che vivono in Laguna: «Nessuno mi ha regalato niente». La storia.
La pagina bianca aperta sul leggìo, per quanti si fermano ad ammirare le sue opere. Un pennarello a punta sottile per tratteggiare un disegno. «Cosa vorresti disegnare?», chiede alla bambina ferma davanti al quaderno aperto. «Ma stai attenta a non calcare», si raccomanda. Quello che sta parlando con dolcezza è il pittore e scultore Vincenzo Munaro, di origini venete ma gradese d’adozione. Diplomatosi all’accademia di belle arti di Venezia, dove il lavoro sarebbe stato agevolato, per amore scelse Grado come città di affinità elettive, insegnando anche per lunghi anni.
«A Grado sono arrivato il 12 ottobre del 1968, grazie a mia moglie Maria, che era di Quattroventi», racconta tornando indietro con la memoria. A rievocare il proprio passato come farebbe col pennello. «Pensi che l’ho incontrata al “Codivilla” di Cortina, all’ospedale ortopedico. Io ci andavo da parecchi anni. Allora avevo ventun anni. Lei aveva un’azienda, si era bloccata la schiena e il professor Monti la fece venire a Cortina. Nell’ospedale si facevano le cure, ma c’era libertà. La caposala del terzo e quarto piano diceva che gli uomini non potevano salire dalle donne. Io ero curioso e son salito. E ho visto nella terza stanza un volto che mi ha rapito».
L'amore con Maria
Quel volto è quello della sua futura moglie, Maria Plaino, che gli starà accanto fino alla sua scomparsa per malattia nel 2012. «Lei stava piangendo - prosegue nel racconto -. Io chiedo, “Intanto come ti chiami?”, e lei mi dice “Maria di Quattroventi”, di Corno di Rosazzo. “E io sono Vincenzo di Alpago. Ma perché piangi?” “Piango non per il male, perché ho un’azienda di tappezzeria e mia sorella non capisce niente”. Aveva paura di perdere i clienti. “Dai, andiamo al Lovat a prendere un caffè". Pian piano ci siamo piaciuti. Abbiamo passeggiato lungo il famoso cammino delle Dolomiti. Dopo io esco prima di lei».
«Guardo il calendario e le dico “Maria, ci troviamo a Udine il 12 ottobre, domenica. Se ci sei bene, altrimenti torno a casa. Prendo il treno con ansia, cambio a Conegliano, arrivo giù. Quando arrivo vicino a Udine mi dico “Chissà se ci sarà”. Non la vedo. “Mi ha tirato il pacco”. E invece, tutta elegante, è fuori dalla stazione. E mi dice subito “Hai mai visto Grado?” “No”, rispondo. Mi porta a Grado perché lei veniva in vacanza da fanciulla». Inizia così il viaggio di un artista attraverso la nostra regione, che sarà un percorso interiore e una lenta consapevolezza delle proprie potenzialità.
La strada per Grado
«Naturalmente nel tragitto dico “Maria, fermati a Palmanova, perché può darsi che non passi più”. E ci siamo fermati a vedere la città stellata. Poi abbiamo fatto tappa ad Aquileia. Poi, entrando a Grado dal belvedere, comincio a notare il campanile. Ho detto “ma guarda che strano, la mia piccola Venezia!”. Facciamo una passeggiata, arriviamo all’ingresso della spiaggia, lì c’era un cartello», che indicava la possibilità di tenere mostre. L’anno successivo Munaro terrà proprio in quel luogo la sua prima mostra gradese. Alloggia in hotel, ospitando qualche sera Maria, vendendo nel frattempo quadri».
«A fine stagione torna su in Alpago, dipingendo per mesi, scendendo per incontrarsi con la fidanzata, «era più facile che venissi giù io che su lei, perché aveva un’azienda. La mentalità era “bes” e lavoro». Finché la stagione successiva ritorna. «Arrivo verso la fine di giugno. Soldi pochi, sempre. “Chissà se riesco a pagare l’albergo”. Poi, vendo un quadro, ma l’albergatore non è convinto che io possa pagare. Inizio a vendere altri quadri, ma come avevo fatto a Venezia, da studente, vado nel viale e comincio a fare i ritratti. Infine, vendo tutti i quadri. Trovo anche un negozio durante l’estate, in cui vendere. Finita la stagione, dico “Peccato, perché funziona”».
Un lavoro difficile
«Allora cerco un negozio libero per tre mesi. Lo trovo qua, ci resto per dodici anni. Poi ho cominciato a fare le mostre, anche a Belluno, a Treviso. Però l’aggancio era qui. Avevo appena finito di pagare la casa a Belluno. Ipoteco la casa». Ma grazie alle vendite delle sue opere, e al coraggio di rischiare, riesce infine a permettersi uno studio tutto suo. «Non avevo paura, quando ero studente, che il 20 del mese non avevo più soldi perché papà mi poteva dar solo 20mila lire. Non mi son mai preoccupato. Se non avessi avuto quel carattere, quel coraggio, non ce l’avrei fatta. Oggi dicono “Munaro è stato fortunato”, ma nessuno mi ha regalato niente».
«Ho fatto sei mostre in Austria, poi in Germania. Non ho mai visto, in questi musei, un italiano contemporaneo che espone. Adesso si aprono tutte le porte, anche quelle politiche. A Gorizia non stanno facendo grandi cose, in vista del 2025. Ci verrò, in qualche maniera ci arrivo», se verrà invitato. In tante altre città ha lasciato traccia di sé, «Ad esempio ho affrescato il borgo di Funes, undici affreschi nel paese in cui siamo nati io e mio fratello. All’inaugurazione ha presenziato anche Conte, ormai siamo amici. Lui mi darà la possibilità di tenere una mostra nella Casa dei Carraresi. Poi il sindaco di Conegliano, Fabio Chies, mi farà affrescare Palazzo Sarcinelli».
Le sue opere
Infine, un’ultima tappa promossa dal presidente Zaia, che sarà probabilmente una mostra presso il museo Correr di Venezia. Un intreccio, quello fra arte e politica, che spesso porta con sé scontri di partito. «A Belluno ho fatto una grande opera, il “San Martino”. La sinistra ha sempre attaccato quell’opera, finita al Tar e al Consiglio di stato. Perché ce l’aveva con lo sponsor, ma l’opera è sempre lì». “Con la cultura non si mangia”, avrebbe detto un politico. Munaro dimostra il contrario.
Dalle cartoline per turisti, seppie antiche, scorci di Grado, alle mostre presso i più importanti musei, agli affreschi. «Qui c’è Cividale, Aquileia, Belluno – dice mostrando le pareti di via Marina -. Queste cose restano. Ormai questa via è quasi tutta mia», conclude salutando. Sale in sella alla sua bicicletta, si perde fra i turisti, nella sera di questa lunga estate che ancora non vuole cedere all’autunno.
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