Dall'omelia
«Attraversare i confini per fare la pace», le parole dell'arcivescovo a Nova Gorica
L'arcivescovo metropolita ha ribadito le ferite subite dal Goriziano nel corso del Novecento, «oggi un lungo cammino oltre i confini».
Ha guardato dall’alto la 56esima Marcia della Pace, avvolto nella nebbia e dalle nuvole, il santuario di Monte Santo/Sveta Gora. Una presenza avvolta dalla luce dei fari resi più voluminosi dalla bassa pressione e dal vento di scirocco. Così, rischiarati da quella luce come un faro, le centinaia di partecipanti al cammino che da Oslavia ha raggiunto Gorizia e, poi, Nova Gorica, si sono mosse verso la concattedrale del Divino Salvatore.
Qui la celebrazione della Santa Messa presieduta dall’arcivescovo di Gorizia, monsignor Carlo Roberto Maria Redaelli, concelebrata da vari confratelli tra cui l vescovo di Trieste, monsignor Enrico Trevisi, e il presidente di Pax Christi, monsignor Giovanni Ricchiuti. “Siamo nel tempo di Natale, con i pastori anche noi in questi giorni siamo andati a vedere e contemplare il Bambino adagiato nella mangiatoia. Quel Bambino è venuto al mondo per “ricapovolgere” le cose. Non è venuto però per toglierci la libertà. Qualche volta penso come sarebbe bello un mondo dove non fossimo liberi di scegliere e di fare il male, dove fossimo obbligati al bene.
Ma sarebbe un mondo di automi, magari perfettamente intelligenti, ma non di persone, non di uomini e donne con un cuore capace di amare. No, il Figlio di Dio non ci toglie la libertà, rispetta l’uso tragico della nostra libertà, anzi Lui stesso sulla croce è stato vittima dell’odio. Perché Gesù è stato ucciso? In occasione del Venerdì Santo escono spesso articoli che cercano di spiegare le motivazioni della passione di Gesù: dava fastidio ai potenti, era sentito una minaccia per i romani, era invidiato dai capi, ecc. Forse, ma la vera spiegazione è solo l’odio gratuito verso di Lu”, così ancora Redaelli.
Tra i temi sottolineati dall’arcivescovo anche le ferite subite nel Novecento dal Goriziano: “Il percorso che ci ha portato a celebrare l’Eucaristia in questa chiesa ha voluto quasi riassumere e raccogliere in un tragico abbraccio le esperienze di guerra e di violenza che hanno contrassegnato questa terra di confine”, ha ribadito all’inizio rimarcando come “la nostra riflessione, la nostra preghiera sono andate al di là di questo territorio almeno nel nostro pensiero, a tante altre guerre e situazioni di conflitto che non abbiamo esplicitamente ricordato, ma che in qualche modo abbiamo voluto raccogliere in quel tragico abbraccio che citavo all’inizio”.
“Lui – sono le parole del presule - si lascia crocifiggere dal nostro odio, ma lo svuota dal di dentro, trasforma il massimo delitto che l’umanità può compiere – uccidere il Figlio di Dio – nel massimo dell’amore. La morte di Gesù ci ha liberato dalla schiavitù dell’odio (perché, se è vero che chi odia mette in gioco male la propria libertà, è anche vero che poi diventa schiavo del suo stesso odio). Gesù ci ha fatto tornare pienamente figli, perché i figli sono liberi. L’abbiamo ascoltato nella seconda lettura: «nisi več suženj, ampak sin» “non più schiavo, ma figlio”. Che cosa allora possiamo fare per la pace? Può sembrare una risposta fin troppo semplice: amare. Amare gratuitamente, amare mettendo in gioco la nostra libertà. Comportarci da figli, figli liberi che amano perché sono fratelli e sorelle e tutti amati da Dio”, così Redaelli.
“Come si fa ad amare? Forse vi siete accorti che all’inizio di questa riflessione, ricordando l’itinerario che abbiamo percorso, ho saltato una tappa: l’attraversamento del confine in piazza Transalpina o per dirla alla slovena “Trg Europe”. La cosa era voluta. Perché ecco, per esempio, come fare ad amare: attraversando i confini. Tutti i confini, a cominciare da quelli che abbiamo nel cuore e nella testa. Farli diventare punti di incontro e di riconciliazione come quella piazza. Sapendo di essere guardati dal volto luminoso di Dio, avvolti dalla sua benedizione che non verrà meno nel nuovo anno che stanotte inizia”, ha concluso l’arcivescovo.
Foto di Danijel Devetak per Novi Glas.
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