il personaggio
L'appello dell'ex capo degli 007 Mancini a èStoria: «Toglietemi il segreto di Stato»
L'ex vertice dei servizi segreti ha raccontato questa mattina a Gorizia alcuni episodi della sua carriera, fino agli scandali che lo hanno convolto davanti ai giudici.
Ci sono molte date nella vita di Marco Mancini (nella foto, a destra) che avrebbero potuto stravolgere il destino dell’Italia. Altre invece hanno contribuito ad allontanarla dal baratro, in particolare durante la guerra al terrorismo rosso. Le vicende raccontate oggi sul palco del Teatro Verdi di Gorizia, all’interno dell'evento "Le regole del gioco" di èStoria, compongono un puzzle che ha come protagonista l’ex agente segreto del Sismi, più di recente emerso agli oneri delle cronache per i casi Abu Omar e del suo più recente incontro con Matteo Renzi in un autogrill.
Su entrambi queste vicende pesa il segreto di Stato e, davanti al pubblico presente, l’ex 007 ha lanciato l’appello: «Chiedo che venga tolto. In questi anni è stato apposto tutti i presidenti del Consiglio che si sono succeduti. Se parlo devo rispondere di un reato di competenza della Corte d’Assise. Chi viola questa apposizione commette un reato gravissimo, molto di più del sequestro di persona», per il quale era stato accusato in relazione alla sparizione dell’imam di Milano Hassan Mustafa Osama Nasr nel 2003, coinvolgendo anche la Cia.
«Io e miei colleghi - ha proseguito - non potevamo difenderci in quel contesto, abbiamo subito il segreto di Stato. Da 20 anni leggo che sono stato salvato dal segreto di Stato, ma da cosa? Su quel caso, per prima volta nella storia la Corte Costituzionale ha annullato una sentenza della Cassazione». Più recente è invece il caso del suo incontro con l’ex premier in un’area di servizio a Fiano Romano, immortalato il 23 dicembre 2020, «durato soli 13 minuti» come ha precisato l’ospite, intervistato dall’analista Matteo Giurco.
Su quelle indagini, ha rimarcato, «è stato apposto il Segreto di Stato». Lui, all’epoca, era ancora direttore del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza. Complice quell’episodio, ha lasciato l’incarico, finendo in pensione. Una carriera che non si era interrotta nemmeno dopo l’arresto e il periodo in carcere a seguito della vicenda di Abu Omar, con le diverse tappe ripercorse dallo stesso Mancini sul palco. A partire da quel 1979, quando si arruolò nell’Arma. Qualche anno dopo, è entrato nel reparto speciale anti-crimine del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa.
«Avevamo sempre in mente che davanti a noi - così l’ex agente - c’erano persone estremamente cattive, ma abbiamo sempre agito nel rispetto della legge». In questo filone si inserisce l’arresto di uno dei vertici delle Brigate Rosse di Milano, Sergio Segio soprannominato Sirio, nato fortuitamente pedinando Daniela Figini, considerata referente della logistica del gruppo. Era l’inverno 1983: «Lui aveva ucciso due magistrati e assaltato il carcere di Rovigo. Lo fermai puntandogli la pistola alla nuca, chiamandolo con il suo nome di battaglia».
C’è poi una data ancora più significativa: settembre 2004. Da capo del controspionaggio, Mancini guida l’operazione che impedì un ’11 settembre’ italiano, ossia un attentato di Al Qaeda all’ambasciata di Roma a Beirut. La definisce «l’operazione più importante nella collettività di intelligence», ricordando con orgoglio quell’indagine. A fare la differenza nell’intelligence, secondo l’esperto, è proprio il fattore umano: «Un satellite o un drone non riescono a leggere tra le righe. L’attacco di Hamas del 7 ottobre? L’intelligence israeliana ha confidato troppo sull’intelligenza artificiale».
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