Anisa muore a 18 anni a Ronchi, parla la madre: «Non era drogata»

Morta a 18 anni a Ronchi, la rabbia della madre: «Non era drogata»

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Morta a 18 anni a Ronchi, la rabbia della madre: «Non era drogata»

Di Timothy Dissegna • Pubblicato il 05 Apr 2023
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Prosegue l'indagine per omicidio colposo contro ignoti, la rabbia della donna: «Ci sono stati tre errori gravi, voglio giustizia».

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Il fumo catramato della sigaretta si mescola a una stanchezza accumulata da mesi, così grande da permeare tutta la stanza. “Mia figlia non era una drogata”. Mirsada Foinica lo ripete più volte, mentre mostra le analisi dell’autopsia che testimoniano quanto sostiene. Carte che mai avrebbe voluto richiedere, all’indomani della scomparsa di sua figlia, Anisa, morta lo scorso dicembre dopo un malore che l’ha attanagliata per qualche giorno. Una tragedia che ha sconvolto la comunità di Ronchi dei Legionari, dove viveva.

“Tutto è iniziato con febbre e tosse” ricorda la donna. Il suo volto è segnato nel profondo da una ricerca senza tregua di giustizia. Non è possibile che una ragazza in salute, nel pieno della giovinezza, si spenga così da un giorno all’altro. Lei lo grida nel profondo vuoto in cui il suo appartamento è sprofondato. Le mani della donna sfogliano le carte che mettono nero su bianco cos’è successo la notte tra il 17 e 18 dicembre 2022, mentre le parole ritornano a qualche ora prima, quando ci sono stati i primi sintomi.

“Quel giorno l’ho portata dalla nostra dottoressa di base, ma non l’ha visitata e le ha prescritto solo qualche medicina”. I dolori al petto, però, non si placano. Anisa ha troppo male per rimanere a casa e, accompagnata dalla madre, va in Pronto soccorso all’ospedale San Polo di Monfalcone. “Ci hanno lasciate sole per tanto tempo - accusa - e le hanno fatto solo gli esami del sangue. Hanno detto che andava tutto bene e ci hanno fatto andare via”. Ricorda il breve rasserenamento nel sentire quelle parole, poi l’inizio dell’incubo.

Attorno alle 3.30 del mattino del 18 dicembre, infatti, la diciottenne inizia a urlare e stare ancora più male. “Sono corsa in camera sua, l’ho portata in bagno per aiutarla. Ho chiamato subito l’ambulanza, dopo tre telefonate è arrivata alle 4.16”. Sul posto c’erano già i carabinieri, anche loro intervenuti nel tentativo disperato di rianimare Anisa. I sanitari accorsi non potranno fare molto. Sui documenti del 118, l’ora della chiamata è indicata alle 3.37 e 15 secondi, quella di partenza del mezzo alle 3.50 e 47 secondi.

I tentativi di rianimazione finiranno alle 4.30. Tempi che Mirsanda contesta, in particolare quello dell’arrivo dell’ambulanza. Il dito, però, è puntato verso tutte le figure sanitarie incrociate nelle ultime ore di vita della figlia, a partire dal primo medico a cui si erano rivolte per arrivare al Pronto soccorso. “Ci sono stati tre errori gravi - attacca - non hanno fatto nulla per salvare mia figlia. Quello che l’è successo può accadere domani a qualcun altro. Lei è morta tra le mie mani”. La rabbia è poi rivolta alle voci circolate nei giorni successivi.

La rabbia prende il posto della disperazione, negli occhi della madre, quando ricorda tutto ciò. “Qualcuno ha detto che si drogava, mia figlia era una persona sana con una testa grande. Sapevo che non prendeva nulla, altrimenti non avrei permesso nemmeno l’autopsia”. Le analisi prodotte mostrano nulli tutti i parametri: dall’ectasy alla cocaina, passando per cannabinoidi, metadone e tutti gli alti. “Gli unici dati presenti sono legati alle medicine che ha preso”. Per ora, questo documento è la prima analisi nel fascicolo della Procura.

Il Tribunale di Gorizia, infatti, già all’indomani della vicenda ha aperto un procedimento penale contro ignoti. Il medico legale incaricato dell’autopsia, Ugo da Broi, al momento non ha ancora depositato ulteriori materiali e ha ottenuto una proroga di 60 giorni da parte del Sostituto procuratore, Andrea Maltomini. “Le accuse al momento non sono rivolte a qualcuno in particolare - precisa l’avvocato della donna, Sascha Kristancic - ma secondo noi va valutato il comportamento dei sanitari che hanno incontrato la ragazza prima di morire”.

Lo sviluppo della vicenda richiederà inevitabilmente ancora tempo, attenendo la formalizzazione di accuse precise. Nel frattempo, Mirsada non si da pace: “I soldi non possono far tornare mia figlia, ma voglio che le persone rispondano per il loro lavoro. Lei è morta per una polmonite. Non ho paura di nessuno, la mia vita ormai è sparita”.

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