il recupero
Anfora romana riemerge dalle acque, la scoperta alle foci del Timavo

Recuperato l'antico manufatto del I secolo a.C., attivata la motovedetta di Grado.
Era riuscito a fotografare un'antica anfora in un tratto di mare limitrofo alla foce del Timavo, tra Monfalcone e il Villaggio del Pescatore, segnalandone la presenza alla Sovrintendenza. Grazie a ciò, i carabinieri del nucleo Tutela patrimonio culturale sono riusciti a risalire al sito esatto. I militari di Udine hanno organizzato così un servizio mirato all’individuazione ed al recupero del bene culturale.
Essendo, peraltro, la notizia del rinvenimento dell’anfora di pubblico dominio, si è reso necessario velocizzare i tempi del suo recupero, per confermarne il carattere di bene archeologico tutelato dalla normativa di settore.
Di conseguenza, bisognava evitare che appassionati e collezionisti di tale tipologia di beni potessero entrarne illecitamente in possesso.
Una volta identificato il segnalatore, che si è messo a disposizione delle Autorità indicando di persona il punto esatto del rinvenimento vicino ad una sponda nei pressi della foce del fiume Timavo, a cavallo tra Monfalcone ed il Villaggio del Pescatore, è stata predisposta un’attività mirata di recupero alla quale hanno preso parte, oltre ai carabinieri, anche la motovedetta della stazione di Grado e l’assistente tecnico subacqueo in forza alla Soprintendenza.
Le operazioni di recupero sono risultate meno agevoli del previsto perché, a differenza di quando l’anfora era stata notata la prima volta, il livello delle acque che la ricoprivano era maggiore, ed era anche in corso una notevole corrente di marea uscente e la torbidità dell’acqua, tra l’altro particolarmente fredda in quel punto, non ne consentiva l’immediata individuazione. Una volta identificata sul fondale, a circa 4,5 metri di profondità, al fine di farla riemergere, è stata imbragata in una rete “giapponese” a cui è stato agganciato un pallone di sollevamento subacqueo “a paracadute”, che ne consentiva la riemersione.
Azione fatta in considerazione del non indifferente peso, poiché l'anfora era parzialmente interrata e piena di fango e detriti. Il manufatto, alla fine, è stato adagiato con cura sulla plancetta di poppa della motovedetta dell’Arma. Il contenitore di ceramica, delle dimensioni in altezza di 80 centimetri e di diametro massimo di 35 centimentri, secondo le preliminari valutazioni degli esperti della Sabap, risale al I secolo a.C., è di produzione alto adriatica ed è riaffiorato molto probabilmente a seguito dell'erosione spondale che caratterizza quel tratto di riva.
Compatibile con analoghi esemplari rinvenuti a partire dagli anni Settanta del secolo scorso nella medesima area marina, ricadente in quello che in antico era denominato "Lacus Timavi", l’anfora è stata messa a disposizione della Soprintendenza per le seguenti operazioni di desalinizzazione, studio e successiva valorizzazione. L'attività svolta rientra nel campo più ampio di protezione dei siti archeologici sommersi, che vede i militari impegnati con i propri assetti specialistici e territoriali, in stretta collaborazione con gli organi ministeriali di riferimento ed anche, come in questo caso, con la cittadinanza.
I carabinieri per la Tutela del patrimonio culturale ricordano che, ai sensi della normativa vigente, l’attività di ricerca di reperti archeologici sommersi – la cui proprietà è dello Stato – e, più in generale, di tutti i beni culturali tutelati dalla legge, è riservata al ministero della cultura, che può dare in concessione a soggetti pubblici o privati l’esecuzione di tali attività. Al contrario, nel caso di rinvenimento fortuito, lo scopritore dovrà, entro le successive 24 ore, farne denuncia in alternativa al Soprintendente, al sindaco della località ove è avvenuta la scoperta o all’autorità di pubblica sicurezza, tenendo conto che la legge prevede anche la corresponsione di un premio da parte dello stesso dicastero.
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